Andare in pensione è sempre più un rebus. Fra calcoli, conteggi ed età pensionabile in continuo aumento, il traguardo per i lavoratori non è mai scontato. Oltretutto all’orizzonte c’è una riforma pensioni in vista che ancora non è chiara per via dei vari impatti di spesa che ci saranno. La confusione regna ancora sovrana.
Sindacati e lavoratori sono costantemente in pressing sul governo per una riforma pensioni che permetta dal 2024 di agevolare l’uscita senza le stringenti regole imposte dalla Fornero. Cioè l’uscita a 67 anni di età o con 41-42 anni e 10 mesi di contributi indipendentemente dall’età anagrafica.
Quota 41 al posto di Quota 103 nel 2024?
Con la fine di Quota 103 (in pensione a 62 anni con 41 di contributi) il 31 dicembre non ci saranno, infatti, più scalini da sfruttare e per molti lavoratori che non sono riusciti ad approfittarne potrebbe essere un dramma dal prossimo anno. Motivo questo che sta convincendo il governo Meloni a fare di tutto per trovare una soluzione alla tanto discussa Quota 41.
Cioè il pensionamento con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età. In pratica si cerca di estendere quanto già sta avvenendo per i lavoratori precoci a tutti, senza vincoli di sorta. Cosa che però costerebbe, nella migliore delle ipotesi, almeno 5 miliardi di euro solo per il primo anno.
Ecco perché il governo non può approntare una riforma simile senza le dovute restrizioni che ne limiterebbero l’impatto sui conti pubblici. Perché ogni riforma deve essere finanziariamente sostenibile da sé. Da qui si sono susseguite varie ipotesi alternative, meno costose, ma più penalizzanti per i lavoratori.
In pensione dopo 41 anni di lavoro ma con penalizzazione
Monta quindi sempre più l’idea di proporre Quota 41 col ricalcolo contributivo della pensione. Vale a dire, permettere ai lavoratori di uscire dopo 41 anni di lavoro ma accettando che i contributi versati nel sistema retributivo migrino in quello contributivo.
In questo senso la pensione risulterà tagliata perché il sistema di calcolo contributivo tiene conto unicamente del montante versato e rivalutato e non anche del livello di retribuzione percepito. Si tratta per la precisione di un taglio stimato che mediamente può raggiungere il 10% rispetto a una liquidazione della rendita col sistema misto.
La riforma, così concepita, consentirebbe al lavoratore che raggiunge i 41 anni di contributi di anticipare di 10 mesi (se donna) o di 22 mesi (se uomo) la pensione rispetto a quanto previsto dalle regole Fornero sulla pensione anticipata. Ma a fronte di un taglio che andrebbe attentamente valutato.
La pensione in due tranches
L’altra possibile riforma sul tavolo del governo riguarda la proposta avanzata dall’Inps per una uscita anticipata solo in parte. L’idea, per non pesare troppo sui conti pubblici, sarebbe quella di concedere una prima parte della rendita al raggiungimento di 63-64 anni con almeno 20 anni di contributi. Questa prima tranche sarebbe liquidata col sistema contributivo per gli anni di lavoro dal 1996 in poi. Seguirebbe al raggiungimento dei requisiti di vecchiaia (67 anni) la liquidazione della seconda parte di pensione, cioè quella maturata nel sistema retributivo per gli anni di lavoro prestati prima del 1996.
Questo sistema duale farebbe risparmiare parecchi soldi all’Inps e al contempo darebbe già una prima parte di pensione al lavoratore già a 63-64 anni. L’idea non dispiace ai sindacati e si sta ragionando sulla possibilità di poter continuare a lavorare fino a 67 anni di età.
Riassumendo…
- 41 anni di contributi potrebbero bastare dal prossimo anno per andare in pensione
- Quota 41 in vista, ma col ricalcolo contributivo dal 2024
- Allo vaglio anche la proposta dell’Inps per un’uscita anticipata a 63-64 anni