L’Italia otterrà 209 miliardi di euro tra sovvenzioni e prestiti, la quota più rilevante di tutta l’Unione Europea con il 27,8% dei 750 miliardi complessivamente approvati dal Consiglio europeo nei giorni scorsi con il varo del “Recovery Fund”. Il premier Giuseppe Conte ha sbandierato l’accordo come un enorme successo per Roma ed è innegabile che qualcosa di buono vi sia per il nostro Paese, sebbene stiamo un po’ tutti esagerando la portata reale di questo fondo.
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Per prima cosa, dobbiamo distinguere tra sovvenzioni e prestiti, perché i secondi vanno restituiti, per cui il denaro che realmente entra nelle casse degli stati è dato dagli aiuti.
Trenta miliardi netti in tre non sarebbero pochi, equivalendo all’1,7% del pil del 2019. Avremmo l’opportunità di potenziare gli investimenti pubblici a sostegno della crescita economica nel medio-lungo termine, il driver che da troppi anni manca all’Italia per via dei tagli accusati per risanare i conti pubblici. Molti di voi si staranno chiedendo se abbia senso emettere debito per contribuire al pagamento delle sovvenzioni europee, pur in misura minore al beneficio ricevuto, e per farsi prestare nel tempo la stessa quantità di denaro da Bruxelles alle condizioni imposte dalla Commissione.
Recovery Fund partita di giro?
In effetti, la materia non è di così immediata riflessione. L’Italia prenderebbe a prestito le somme dalla UE a tassi molto bassi, teoricamente anche nulli, ma quando si tratterebbe di restituirli dovrebbe indebitarsi sui mercati finanziari a tassi decisamente superiori, dati i nostri bassi rating sovrani.
E qui si apre un capitolo assai delicato. L’accordo prevede che per accedere ad aiuti e prestiti serve presentare un piano che abbia un impatto positivo su crescita e occupazione. La Commissione è tenuta a valutarlo entro due mesi e a trasmettere la propria riflessione all’Ecofin, il consesso dei ministri finanziari di tutta la UE. Questi lo approvano a maggioranza qualificata. In altre parole, i circa 50 miliardi di euro di contributi per il Recovery Fund sono certi, mentre le entrate per l’Italia sarebbero tutt’altro che scontate nel se e nel quanto. Bruxelles ci chiederà di attuare alcune riforme di stimolo alla crescita, quali della giustizia amministrativa e civile, della Pubblica Amministrazione, fiscale per abbattere la tassazione sul lavoro, sostegno agli investimenti pubblici, tagli alla spesa improduttiva, ma anche alla spesa pensionistica, etc.
Per l’Italia, questo meccanismo si rivelerebbe un forte stimolo per realizzare quelle riforme che continuiamo a rinviare di decennio in decennio, sebbene l’attuale governo non lasci ben sperare, avendo varato ben tre scostamenti di bilancio in pochi mesi e per complessivi 105 miliardi di euro, sperperando queste somme ingenti in misure di puro assistenzialismo e mancano l’occasione di sterzare la politica monetaria a favore del rilancio strutturale. Fatto sta che quello che a primo acchito stiamo considerando un po’ tutti un grande successo per l’Italia inizia a palesarsi come una gigantesca partita di giro.
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