Aldilà delle norme che attribuiscono alle banche privilegi fiscali: quanto di fatto resta da versare agli istituti di credito? In che percentuale la tassazione incide sull’utile lordo? Le tasse che pagano le banche in Italia sono inferiori o nella media rispetto a quelle versate dalle banche all’estero (il che è importante anche per comprendere in che modo la tassazione incida sulla scelta di localizzare le imprese bancarie)? Sebbene le regole comunitarie sui bilanci abbiano imposto un allineamento dei profili contabili, la non uniformità delle imposizioni fiscali diventa elemento discretivo di primaria importanza.
Produttività e bilancio delle banche come impresa
Una premessa: non esiste un’ampia letteratura sull’argomento, online le fonti sono scarse e in alcuni casi datate (e forse non è un caso). Anche le analisi empiriche di carattere generale svolte relativamente alle imprese in Europa, escludono le banche come campioni di riferimento.
E’ chiaro che sul bilancio e la produttività di un’impresa, di qualunque natura essa sia, pesano sia il tipo e la quantità di imposte (locali, patrimoniale, corporation tax) sia la deducibilità o meno delle stesse. Non a caso dunque il ROE medio è inversamente proporzionale al tax ratio poiché quest’ultimo riduce il reddito netto delle banche. Il campione che prendiamo per primo come riferimento è quello offerto dalla banca dati Bankscope per il periodo relativo al 1995-2001: trattasi nello specifico di 604 istituti commerciali (escluse dunque le imprese bancarie che per natura giuridica possono presentare regimi fiscali differenziati).
Tassazione banche: confronti con Europa e USA
Se dall’Europa ampliamo il confronto agli Stati Uniti scopriamo che le banche nel nostro continente sono soggette ad imposte inferiori rispetto agli istituti di credito americani. In tutti i Paesi considerati il tax ratio presenta un andamento decrescente negli anni (ad eccezione della Spagna in cui si mantiene costante): Italia e Germania però sono gli Stati in cui la deflessione è più marcata, arrivando al meno 25%.
Quanto la tassazione incide sugli utili bancari
Come sopra accennato nella letteratura economica è stato dato poco rilievo a come e quanto la tassazione incide sui redditi bancari. Possiamo ritenere che se da un lato l’aumento delle imposte sui redditi societari comporta un incremento delle aspettative di rendimento lordo sul capitale e ha come conseguenza un aumento dei tassi di interessi sui prestiti e al contempo un calo di quelli riconosciuti ai depositi, dall’altro si configura una riduzione della domanda di credito da parte di istituti non finanziari per via della maggiore imposizione fiscale. Nel complesso si osserva che le banche riescono a mantenere una certa stabilità per compensare le variazioni di tassazione sugli utili (eventuali aumenti delle aliquote sono di fatto a carico delle società non finanziarie che richiedono prestiti).
La situazione italiana non sembra essere una novità per gli esperti del settore: dopo Giulio Tremonti anche l’Adusbef si era scagliata contro i privilegi fiscali delle banche. In base alle stime raccolte dall’associazione dei consumatori e ai dati forniti dai bilanci della Banca d’Italia, nel quadriennio compreso tra il 2002 e il 2006 l’utile lordo è praticamente quasi raddoppiato (passando da 15,9 a 30,5 miliardi di euro, pari a + 91,5%) e quello netto ha fatto registrare addirittura valori maggiori del doppio (si è passati da 9,9 miliardi a 22,7, il + 129%). A fronte di questi utili crescenti le tasse sarebbero invece aumentate secondo ritmi nettamente più lenti.
Finanziaria Monti e cartolarizzazione
E se l’Abi ha sempre ufficialmente affermato di essere favorevole ad un dialogo con il governo, di fatto l’esecutivo è riluttante ad infierire sulle banche. Ad una analisi della manovra Monti pare anzi aumentata la forbice della rivalutazione catastale tra banche e alberghi da un lato e dimora private dall’altro (l’incremento Irap non sembra incidere molto se non nel costo del lavoro e comunque non in maniera determinante nel complesso degli utili).
Anche guardando ai dati del 2010 le considerazione restano le stesse: 4,2 miliardi di gettito fiscale a 2010 a fronte di utili per 7,9 miliardi.
E’ bene chiudere facendo riferimento al sistema che ha contribuito maggiormente a questa elusione fiscale: la cartolarizzazione. L’unica interrogazione parlamentaria sul tema porta la firma di Domenico Scillipoti. La cartolarizzazione è stata introdotta nel 1999 (è stato stimato che in dieci anni ha prodotto un ammanco pari a 120 miliardi di euro per lo Stato). Il meccanismo è semplice: le banche costituiscono delle società alle quali cedono i loro crediti svalutati del 60% in caso di crediti ipotecari e fino al 95% per quelli chirografari. In questo modo si generano ingenti (ma fittizie) perdite creditizie che comportano l’elusione delle tasse. Al contempo le società che acquistano generano pulsvalenze iscrivendo i crediti in bilancio con il valore reale corrispettivo.
Di fronte a questa situazione di fatto fanno riflettere le parole di Emma Marcegaglia, in merito alla decisione europea di varare una tassa sulle transazioni finanziarie a rischio: “le tasse delle banche ricadono sempre sui risparmiatori”.
IL NOSTRO PRIMO ARTICOLO SULLA TASSAZIONE DELLE BANCHE:
Le banche pagano le tasse? Una riforma fiscale necessaria