La pensione dei lavoratori 40 enni di oggi, sarà più bassa di quella dei 40 enni di ieri. Parliamo quindi della generazione dei nati negli anni 80 e che hanno iniziato a versare contributi dopo il 1995 rientrando nel sistema di calcolo contributivo puro.
Un sistema che, di fatto, risulta più penalizzante di quello retributivo del passato e che ha riguardato le generazioni precedenti. La pensione per i 40 enni di oggi non potrà essere paragonata alla pensione dei loro predecessori, più alta, ma calcolata con un metodo sbagliato e che ha portato l’Italia sull’orlo del collasso finanziario.
La pensione dei quarantenni di oggi
Ma non è solo l’importo della pensione che preoccupa, bensì anche l’età di uscita dal lavoro che si allunga perché agganciata dal 2012 alla speranza di vita. Quindi, a che età andranno in pensione i nati negli anni 80? Cioè coloro che oggi lavorano e hanno fra i 40 e 50 anni di età, la così detta generazione X? Una domanda che è più che lecito porsi alla vigilia del dibattito parlamentare sulla riforma delle pensioni.
Ebbene per i quarantenni di oggi l’uscita dal lavoro è oggi possibile già a 64 anni di età con almeno 20 anni di contributi. Tuttavia, la legge prevede che il calcolo della rendita non debba risultare inferiore a 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale. Cioè 1.410 euro per il 2023.
Soglia oggi raggiungibile comodamente solo con il sistema di calcolo misto. Ma quasi impossibile da raggiungere per chi versa esclusivamente nel sistema contributivo puro. Ad eccezione di chi potrà far valere una carriera lavorativa continua e con alti livelli di retribuzione. Per tutti gli altri, cioè per la maggior parte dei contribuenti 40 enni, bisognerà attendere.
Quanto prenderanno
E veniamo all’ammontare della pensione. Secondo un recente studio della Corte dei Conti, basato sui dati Inps, la pensione della maggior parte dei 40 enni sarà insufficiente per vivere.
A basse retribuzioni corrispondono basse contribuzioni e quindi anche il montante contributivo finale non sarà tale da poter garantire una pensione dignitosa anche al raggiungimento dei requisiti di vecchiaia. Del campione esaminato dai giudici contabili, solo gli appartenenti alle forze armate e di polizia potranno vantare, a fine carriera, un montante contributivo di circa 235 mila euro. Mentre quello del lavoratori occupati nella sanità supera di poco i 178 mila euro.
Ne conseguirà, in base ai coefficienti di trasformazione attuali, una pensione rispettivamente di 13.500 euro e 10.200 euro all’anno. Ma, al di sotto di queste due categorie maggiormente “garantite” ci sono molti altri lavoratori che non arriveranno a 100 mila euro di montante contributivo ai quali sarà corrisposta una pensione da fame.
In pensione a 71 anni per i nati inizio anni 80?
Per non parlare dei lavoratori in situazione di mobilità/disoccupazione, i commercianti, i lavoratori del comparto scuola e gli artigiani. Tutte figure professionali che spesso non hanno alle spalle una carriera piena e continua.
Queste persone dovranno avere una pensione a calcolo pari ad almeno a 1,5 volte l’assegno sociale, cioè 755 euro al mese per il 2023. Requisito non raggiungibile da tutti per la pensione di vecchiaia. Le simulazioni portano a concludere che per aver diritto a una pensione del genere bisognerà aver lavorato almeno 35 anni ininterrottamente con una retribuzione lorda minima pari a circa 1.500 euro al mese.
Chi resterà fuori dovrà attendere la veneranda età dei 71 anni quando il limite di importo della pensione decade.
Riassumendo…
- Pochi lavoratori 40 enni di oggi andranno in pensione con un assegno dignitoso.
- La retribuzione media, secondo la Corte dei Conti, è di 20 mila euro all’anno, troppo bassa per dare origine a una pensione sufficiente per vivere.
- Solo il personale delle forze armate e di polizia potrà contare su una rendita minima sufficiente.
- Il precariato mina alla base la pensione dei 40enni che rischiano di non raggiungere la pensione nemmeno a 67 anni di età