Quanto vale un anno di lavoro in più per la pensione? Ecco alcuni esempi pratici

Quanto conta un anno in più di lavoro e quanto conta un anno in più di età per la propria pensione futura.
1 anno fa
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Andare in pensione e prendere un assegno troppo basso per poter vivere dignitosamente. Questo è il destino di tantissimi lavoratori che dopo le ristrettezze della vita durante la carriera lavorativa, si imbattono in una vita da pensionati ancora più povera. Le regole di calcolo delle pensioni sono particolarissime. E spesso sono difficili da capire. In questo il sistema contributivo aiuta. Perché le pensioni vengono calcolate sui contributi effettivamente versati dal lavoratore durante gli anni di carriera. Con il retributivo tutto più complicato.

Perché c’è da fare i conti con gli ultimi anni di retribuzione, quota A e quota B di pensione e così via. Ma come si fa a capire quanto vale un anno in più di lavoro sulla pensione? E cosa si guadagna rinviando nel tempo la pensione?

“Salve, volevo chiedervi delle spiegazioni sulla pensione che prenderei andandoci subito a 64 anni con 41 anni di contributi e quota 103, o rimandando tutto al 2024, magari arrivando lavorando fino a settembre dell’anno prossimo e completando i 42 anni di contributi, dal momento che forse quota 103 verrà confermata anche nel 2024. Grazie.”

Quanto vale un anno di lavoro in più per la pensione? ecco alcuni esempi pratici

Per la propria pensione un lavoratore dipendente destina il 33% della sua retribuzione. Infatti l’aliquota contributiva vigente nel Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti (FPLD) dell’INPS è pari al 33%. Ma è il significato di questo 33% che spesso spiazza i lavoratori che si chiedono quanto prenderebbero di più rimandando il lavoro di uno, due o più anni. Un argomento assai caldo adesso dal momento che si parla tanto di pensioni anticipate e di uscite prima dei 67 anni di età con una ipotetica nuova riforma delle pensioni.
Lasciare il lavoro prima significa abbandonare il versamento dei contributi e quindi non maturare una pensione più alta. Ma di quanto? Ecco una particolare analisi con tanto di esempi per gli interessati.

Retribuzione lorda, aliquota contributiva e tutto ciò che incide sul calcolo della pensione di un lavoratore

Con una retribuzione annua lorda di 30.000 euro, cioè di circa 2.300 euro al mese, un lavoratore mette da parte per la sua pensione futura qualcosa come 9.900 euro. Significa oltre 760 euro al mese. In pratica, il salvadanaio dove il lavoratore versa i soldi per la pensione, che in gergo tecnico si chiama montante contributivo, per un anno di lavoro con uno stipendio come quello prima citato sale di quasi 10.000 euro. E questo naturalmente incide e non poco sul calcolo della pensione. Soprattutto nel sistema di calcolo contributivo della pensione, che come è noto, si basa proprio sul montante dei contributi.

Il calcolo contributivo e cos’è il montante

Il calcolo contributivo della pensione funziona in maniera abbastanza semplice. Un lavoratore versa mese per mese con il suo stipendio dei soldi nel montante dei contributi. Quando il lavoratore deve andare in pensione non si fa altro che aprire il salvadanaio e prendere sotto forma di rendita mensile, cioè che è stato messo da parte, naturalmente rivalutato al tasso di inflazione a partire dall’anno in cui i contributi sono stati versati. Il meccanismo è quello dei coefficienti, con il montante contributivo che come detto prima viene rivalutato e poi viene moltiplicato per i coefficienti di trasformazione che sono tanto più favorevoli al lavoratore, quanto maggiore è l’età di uscita dal mondo del lavoro.

Ecco quali sono i coefficienti che trasformano il montante in pensione

In termini pratici, un lavoratore rimandando la pensione anche di un solo anno non solo aumenta i soldi nel suo portafoglio contributivo, ma gode anche di un migliore coefficiente di trasformazione dell’accumulo in rendita. E per il 2023 i coefficienti di trasformazione sono:

  • 57 anni di età coefficiente 4,27%
  • 58 anni di età coefficiente 4,38%
  • 59 anni di età coefficiente 4,49%
  • 60 anni di età coefficiente 4,62%
  • 61 anni di età coefficiente 4,74%
  • 62 anni di età coefficiente 4,88%
  • 63 anni di età coefficiente 5,03%
  • 64 anni di età coefficiente 5,18%
  • 65 anni di età coefficiente 5,35%
  • 66 anni di età coefficiente 5,53%
  • 67 anni di età coefficiente 5,72%
  • 68 anni di età coefficiente 5,93%
  • 69 anni di età coefficiente 6,15%
  • 70 anni di età coefficiente 6,40%
  • 71 anni di età coefficiente 6,66%

I coefficienti di trasformazione sopra riportati, sortiscono effetto naturalmente solo ed esclusivamente sulle quote di pensione calcolate con il sistema contributivo.

A parità di montante aumenta la pensione se si esce in una età più avanzata. Prendendo a riferimento il nostro lettore, se aspetta un anno per lasciare il lavoro e quindi dai 64 esce a 65 anni, un montante da 400.000 euro vale circa 700 euro in più di pensione all’anno, solo con il cambio di coefficiente. ed altri 500 euro per l’anno in più di contributi versati restando in servizio. Il nostro lettore quindi può tranquillamente rimandare la pensione, anche se serve la certezza, ad oggi non ancora tale, che il governo vari la proroga di quota 103 anche per il 2024. Infatti le probabilità di proroga ci sono, ma occorrerà aspettare la legge di Bilancio per avere la conferma definitiva.

 

Giacomo Mazzarella

In Investireoggi dal 2022 è una firma fissa nella sezione Fisco del giornale, con guide, approfondimenti e risposte ai quesiti dei lettori.
Operatore di Patronato e CAF, esperto di pensioni, lavoro e fisco.
Appassionato di scrittura unisce il lavoro nel suo studio professionale con le collaborazioni con diverse testate e siti.

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