Queste pensioni perderanno 10 mila euro in 10 anni

In base al nuovo meccanismo della perequazione automatica i pensionati italiani perderanno soldi nel tempo. Chi pagherà di più il conto dell’inflazione.
2 anni fa
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Nonostante le rivalutazioni 2023, le pensioni italiane sono destinate a svalutarsi nel tempo. Come noto, l’inflazione certificata dall’Istat si è attestata nel 2022 al 8,1%, ma la perequazione automatica delle rendite non avviene nella stessa misura.

Da gennaio 2023 le pensioni sono cresciute solo del 7,3%. La differenza (0,8%) arriverà il prossimo anno e saranno riconosciuti anche gli arretrati. Intanto, però, lo Stato si tiene i soldi stretti, e si parla di milioni di euro, che coi tassi di interesse in aumento rappresentano un bel risparmio.

Il costo delle pensioni

Se a ciò aggiungiamo che per le pensioni sopra i 2.101 euro al mese la perequazione automatica è stata ridimensionata, i risparmi per lo Stato si moltiplicano. E ovviamente le perdite per i pensionati aumentano. Quindi il conto dell’inflazione lo pagheranno un po’ tutti, chi più e chi meno.

Del resto, la spesa pubblica dell’Inps è salita senza freni nell’ultimo decennio soprattutto a causa delle pensioni anticipate e il rischio che i conti dell’Inps peggiori sempre più è concreto. Già quest’anno si prevede un buco da circa 10 miliardi di euro che potrebbe allargarsi fino a 92 entro il 2029.

Così non resta che tagliare le pensioni in pagamento. Ritardando e ridimensionando le rivalutazioni degli assegni. Come puntualmente sta accadendo. Vediamo nello specifico come funziona il meccanismo.

Gli aumenti negati

Con la Legge di bilancio 2023 sono state finora rivalutate al 100% solo le pensioni fino a 4 volte il trattamento minimo. Cioè fino a 2.101,52 euro lordi al mese. Oltre tale soglia scattano i tagli, meglio evidenziati nello schema qui sotto.

Lo Stato, quindi, non riconosce la perequazione automatica piena delle pensioni sopra i 2.101,52 euro. In base allo schema introdotto dal Governo Meloni per fasce di reddito, le rivalutazioni diminuiscono all’aumentare dell’assegno. Al punto che chi prende più di 5 volte il trattamento minimo, cioè oltre 2.690 euro al mese (circa 2.000 al netto delle imposte) si ritrova una rivalutazione dimezzata.

In dieci anni, si stima, che perderà circa 10 mila euro. Cifra che sale all’aumentare dell’assegno e alla diminuzione della rivalutazione.

Le fasce di rivalutazione

In altre parole chi percepisce importi di pensione medio alti pagherà il conto dell’inflazione nel tempo in base alle nuove fasce di rivalutazione stabilite dallo Stato. Lo schema delle rivalutazioni 2023 è il seguente:

  • 100% fino a 4 volte il trattamento minimo;
  • 85% da 4 a 5 volte il trattamento minimo;
  • 53% da 5 a 6 volte il trattamento minimo;
  • 47% da 6 a 8 volte il trattamento minimo;
  • 37% da 8 a 10 volte il trattamento minimo;
  • 32% oltre le 10 volte il trattamento minimo.

E’ del tutto evidente che, ragionando sui grandi numeri, lo Stato risparmia un sacco di soldi sulle tasche dei pensionati. Cosa peraltro ingiusta se si pensa che le pensioni in pagamento sono frutto di contributi versati, anni di lavoro e sacrifici.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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