Ultimi tre mesi e mezzo per approfittare di quota 100, la sperimentazione triennale sulle pensioni introdotta dal governo “giallo-verde” nel 2019 e fino a tutto il 2021. Il governo Draghi non la prorogherà e cerca soluzioni per evitare il ritorno secco alla legge Fornero. I dati INPS ci dicono che fino al 31 agosto, sono state accolte 341.000 domande, di cui il 30,7% presentate da donne. Esse sono risultate in maggioranza (54,9%) tra i dipendenti pubblici.
Il costo di questa misura è stimato in 11 miliardi, ben meno delle aspettative.
Analisi benefici-costi con quota 100
Possiamo parlare di flop? Dipende dal punto di vista. Se l’obiettivo di quota 100 fosse di mandare in pensione più gente possibile, certamente non si è rivelata un successo. Ma in quel caso, ci saremmo lamentati del costo elevato della misura. Oggi, invece, lamentiamo che ad avere lasciato il lavoro siano stati in pochi, quando prima temevamo che sarebbero stati in troppi. In realtà, quota 100 andrebbe vista da un’altra angolatura, la quale ci confermerebbe che la flessibilità sia tendenzialmente un fattore positivo.
Perché con quota 100 sono andati in pensione meno lavoratori del previsto? Semplice, i potenziali beneficiari si saranno fatti due conti e avranno dedotto in molti casi che i costi avrebbero superato i benefici. E con ciò avrebbero optato per allungare la carriera lavorativa, al fine di percepire un assegno più elevato. Con quota 100, infatti, si può andare in pensione fino a 5 anni prima dell’età ufficiale dei 67 anni, cioè a 62 anni e purché in possesso di almeno 38 anni di contributi.
Lasciamo che siano i lavoratori a decidere quando andare in pensione, fissando un’età minima per tutti, così da rendere flessibile l’uscita dal lavoro per gli over 60. Ciò non grava più di tanto sui conti pubblici grazie alla liquidazione crescente con il metodo contributivo. I dati su quota 100 dimostrano che i lavoratori non vogliano andare in pensione a ogni costo.