Riforma pensioni in arrivo. Manca poco alla fine di quota 100 e già partiti e sindacati fanno quadrato per trovare una soluzione che mandi tutti in pensione a 62 anni. Ma andrebbe bene anche a 63, purché non ci sia penalizzazione.
Il problema però sono i costi. L’Italia, a differenza di Francia e Germania, ad esempio, non può permettersi ulteriori manovre a debito sulle pensioni. Gli assegni sono “troppo alti” per la tenuta finanziaria del sistema pensionistico.
In pensione a 62 anni anche nel 2022
Colpa di un sistema di liquidazione delle pensioni col sistema di calcolo in parte retributivo che fa sforare le previsioni di spesa.
Al governo il compito di evitare che questo accada, benché in Parlamento siano tutti d’accordo nel proseguire con le pensioni anticipate anche nel 2022. Alla Camera è stata infatti presentata una proposta per andare in pensione con quota 97. In proposito, però, il premier Draghi si è riservato di prendere tempo.
Una riforma che si baserebbe sulla riconferma dell’uscita dal lavoro a 62 anni. Proprio come per quota 100 che tramonta il 31 dicembre 2021, ma con la differenza che verrebbe introdotta una leggera penalizzazione.
Riforma pensioni: la proposta più gettonata è quota 97
La pensione anticipata così pensata da alcuni deputati del centro destra si baserebbe su un doppio requisito: 62 anni di età e 35 di contributi. Resterebbe quindi la finestra dei 62 anni prevista da quota 100, ma con meno contributi versati da far valere. In sostanza, una riforma pensioni ancora più vantaggiosa rispetto a quota 100.
In cambio, però, ci sarebbe una penalizzazione nel calcolo della pensione commisurata all’età di uscita dal lavoro. In buona sostanza, chi volesse andare in pensione a 62 anni subirebbe un taglio dell’assegno del 10% rispetto a quanto prenderebbe se uscisse dal lavoro a 67 anni.
Lo schema di taglio pensioni predisposto dai legislatori sarebbe il seguente:
- 10% con uscita a 62 anni;
- 8% con uscita a 63 anni;
- 6% con uscita a 64 anni;
- 4% con uscita a 65 anni;
- 2% con uscita a 66 anni.
Numeri che consentirebbero un risparmio per lo Stato, ma non ancora sufficiente per mantenere pienamente in equilibrio i conti pubblici.