E’ ancora in salita la strada per la riforma delle pensioni e il varo di quota 102. Le recenti audizioni di Bankitalia e Corte dei Conti presso la Commissione parlamentare bilancio hanno messo in guardia i legislatori sui passi da fare.
In sostanza, quota 100 – dicono gli esperti contabili – è stato un errore che pagheremo tutti negli anni a venire. Così come lo sono state tante altre riforme sulle pensioni avvenute in passato. E quota 102 rischia di peggiorare le cose senza risolvere il problema.
Abbandonare quota 102 e allargare Ape Sociale
In sostanza, quota 102 costerebbe tanto nel lungo periodo e darebbe la possibilità di uscire a 64 anni (con 38 di contributi) solo a poche migliaia di lavoratori. Le stime di governo parlano di 16.800 persone, ma i sindacati sono molto più pessimisti.
Per i tecnici di Bankitalia e i magistrati della Corte dei Conti che tengono strettamente monitorato l’andamento della spesa pubblica, quindi, quota 102 non andrebbe approvata. Anche alla luce di quando sta accadendo a Bruxelles dove si sta rimettendo sotto controllo il bilancio dell’Italia.
Meglio allargare Ape Sociale. Il più possibile a chi ne avrebbe diritto. E qui il riferimento va all’estensione della platea dei lavori gravosi per i quali la Commissione governativa Damiano ha stilato un nuovo elenco con 92 categorie.
Al momento solo 15 categorie di lavoratori gravosi possono accedere all’anticipo pensionistico a 63 anni di età con almeno 36 di contributi. Ma l’intenzione è quella di ampliare le categorie e magari di abbassare anche il requisito contributivo per talune mansioni, come per gli edili.
I contratti di espansione e quota 82
A parte quota 102, sembra invece andare tutto liscio per quanto concerne l’estensione dell’applicazione dei contratti di espansione nel 2022. Ma anche per la costituzione di un fondo pubblico da 550 milioni per consentire l’uscita anticipata ai lavoratori di Pmi in crisi che non possono accedere ai contratti di espansione.
In questo contesto, lo Stato non mette soldi per concedere l’anticipo pensionistico (a parte che per le Pmi in crisi) che potrà avvenire fino a 60 mesi dalla maturazione dei requisiti pensionistici.
Per i dipendenti appartenenti al settore privato, dunque, resterà aperta la possibilità di uscire a 62 anni con almeno 20 di contributi versati (quota 82). Il datore di lavoro corrisponderà mensilmente un assegno equivalente alla pensione che maturerebbe al compimento dei 67 anni di età