Quota 103, la nuova formula di pensionamento anticipata presenta dei vantaggi, ma anche degli svantaggi. Come noto, chi accetta di lasciare il lavoro a 62 anni (con 41 di contributi) deve mettere in conto di non poter più realizzare redditi fino all’età del pensionamento ordinario a 67 anni. Oltre a non poter godere fino a quell’età della pensione piena se supera la soglia dei 2.818 euro al mese.
Viceversa, chi vi rinuncia a QUota 103 può beneficiare di un bonus sullo stipendio fino al raggiungimento dei requisiti per la pensione ordinaria.
Quota 103 e la trappola del bonus Maroni
Detto così sembra allettante, ma non lo è. A conti fatti, con il decreto legge del 21 marzo 2023 che disciplina le modalità di attuazione dell’incentivo a restare al lavoro per chi matura il diritto a Quota 103, si dà allo Stato la possibilità di risparmiare soldi. In primo luogo perché il pagamento della pensione sarebbe ritardato nel tempo. E poi perché l’erario incasserebbe subito più tasse dal lavoratore.
Vediamo in dettaglio perché. Se il lavoratore rinuncia alla pensione a 62 anni con 41 di contributi, è vero che prenderebbe qualcosa in più in busta paga, ma godrebbe della rendita solo a partire da un momento successivo. Quindi per minor tempo. Oltre a ciò, la quota di contributi a carico del lavoratore (9,19% dell’imponibile previdenziale) finirebbe nella retribuzione e non concorrerebbe all’incremento del montante contributivo.
Dal punto di vista del bonus per la rinuncia alla pensione con Quota 103, poi, di quanto stiamo realmente parlando? Come detto, è solo l’aliquota contributiva a carico del lavoratore che viene retrocessa in busta paga ed è pari al 9,19% dell’imponibile previdenziale.
Dove ci guadagna lo Stato
Lo Stato, al contrario, ha tutto l’interesse a ritardare il pagamento della pensione con Quota 103. In primo luogo perché si tratterebbe di una rendita corposa, calcolata su un montante contributivo alto. In secondo luogo perché, dovrebbe farlo per un arco temporale stimato molto lungo partendo a 62 anni di età, anziché a 67. Tenuto anche conto che le pensioni liquidate con Quota 103 ricadono per una quota di circa un terzo nel sistema retributivo, notoriamente più oneroso di quello contributivo.
Ma con il bonus Maroni, lo Stato incamera soldi anche con le tasse. E subito. Se la quota contributiva a carico del lavoratore non finisce nel fondo pensione dei lavoratori dipendenti Inps, è automaticamente soggetto a imposta Irpef. Il che implica che lo Stato incassa subito le trattenute erariali operate dal datore di lavoro in busta paga. Quindi aumenta il gettito fiscale a fronte del riconoscimento di un bonus per il quale non aggiunge nulla di suo trattandosi di un semplice travaso di soldi dalla parte contributiva a quella retributiva.
Quota 103 e bonus Maroni
Il lavoratore ha comunque tutto l’interesse a valutare il riconoscimento dell’incentivo. Soprattutto se il lavoratore matura il diritto a una pensione superiore a 2.818 euro al mese, la soglia limite che può essere pagata con Quota 103.
Il beneficio è riconosciuto a domanda del lavoratore a partire dalla prima decorrenza utile della pensione con Quota 103. La richiesta può essere presentata una sola volta purché non si sia ancora raggiunta l’età per la pensione di vecchiaia (67 anni).
Più precisamente l’incentivo decorre dal primo giorno del mese successivo a quello di esercizio della facoltà. Per la presentazione delle domande è, però, necessario rivolgersi dapprima all’Inps per ottenere la certificazione del possesso dei requisiti per Quota 103. Acquisita la certificazione il datore di lavoro attuerà lo sgravio in busta paga anche retroattivamente.