L’Inps ha dato il via alla presentazione delle domande per Quota 103. Nella circolare n. 754 del 21 febbraio 2023 è spiegato in dettaglio il funzionamento e i termini della presentazione della domanda anticipata con 62 anni di età e 41 di contributi.
Questa nuova deroga pensionistica che – ricordiamo – è limitata al 2023, non prevede la liquidazione libera della rendita maturata. E’ infatti prevista una soglia limite pari a 5 volte l’importo del trattamento minimo (2.839,70 euro). In altre parole, la pensione è pagata fino a tale cifra fino a 67 anni.
Chi rinuncia a Quota 103
Si può quindi notare che il legislatore ha voluto disincentivare le uscite anticipate con Quota 103 introducendo un tetto massimo di pagamento. Una misura che dovrebbe ridurre ipoteticamente ulteriormente la platea dei potenziali beneficiari che sono circa 44 mila lavoratori.
Ma non solo. Chi rinuncia a quota 103 avendone maturato il diritto può chiedere al proprio datore l’attivazione del bonus Maroni. Un incentivo che porta il nome dell’ex ministro al Lavoro Roberto Maroni e risalente al 2004, poi interrotto tre anni più tardi.
In breve, con la Legge di bilancio 2023, viene concessa la possibilità di posticipare la pensione con Quota 103 in cambio di un bonus in busta paga. Un incremento dello stipendio che ha dei risvolti positivi nell’immediato, ma anche negativi sulla rendita futura. Vediamo bene di che si tratta.
Come funziona e quanto si prende
Il bonus Maroni è riconosciuto solo ai lavoratori dipendenti che maturano i requisiti per andare in pensione con Quota 103 entro la fine dell’anno. Ma come funziona e quanto vale? In realtà lo Stato non aggiunge nulla, ma solo gira i contributi obbligatori dovuti all’ente pensionistico alla busta paga del lavoratore.
Ne consegue uno sgravio contributivo che si trasforma in retribuzione. In percentuale – ricordiamo – che la contribuzione totale è di circa il 33%, considerando la quota a carico del datore di lavoro (24%) e quella a carico del lavoratore (9%).
Chi matura i requisiti per la Quota 103 ha quindi il diritto di restare al lavoro rinunciando all’accredito per fini pensionistici della quota dei contributi a proprio carico. Detti contributi confluiranno in busta paga e la retribuzione si alza, ma il lavoratore si ritroverà meno contributi per la futura pensione.
Lo svantaggio principale è quindi legato a una pensione futura meno ricca. Fra gli altri svantaggi vi è da considerare anche l’imposizione fiscale. Aumentando il reddito del lavoratore per effetto del bonus Maroni, anche le aliquote Irpef cambiano. Il rischio è che ci si ritrovi una busta paga più alta ma tassato con una aliquota maggiore (dipende dagli scaglioni di reddito).