Il confronto tra governo e sindacati sulle pensioni non è partito col piede giusto. Se per la CGIL la distanza sembra abissale, anche la UIL non si mostra soddisfatta dei contenuti sul tavolo. Entro fine anno bisogna trovare una soluzione per evitare che dal 2024 torni in vigore la legge Fornero così com’è, cioè senza grosse scappatoie per i lavoratori che volessero andare in pensione prima dei 67 anni di età. Fino al prossimo 31 dicembre in vigore c’è Quota 103: in pensione anticipata con 62 anni di età e 41 anni di contributi.
Tra le tante ipotesi che circolano in questi giorni, molte delle quali più frutto di riflessioni dei singoli ministri e sottosegretari, se dei giornalisti, c’è Quota 41. E’ la bandiera della Lega di Matteo Salvini: tutti in pensione con 41 anni di contributi versati, indipendentemente dall’età. C’è un problema: costerebbe sui 4 miliardi solamente il primo anno e 75 miliardi in dieci anni. Troppi per un bilancio statale gravato già da un’altissima spesa previdenziale. Il governo Meloni punta a centrare l’obiettivo entro la legislatura.
Proprio nella volontà di introdurre una misura che farebbe contenta la Lega, ma al contempo per limitarne l’impatto sui conti pubblici, il ministro del Lavoro, Marina Elvira Calderone, prenderebbe in considerazione l’ipotesi di erogare l’assegno totalmente con il metodo contributivo. In altre parole, vuoi andare in pensione con 41 anni di contributi prima dell’età pensionabile? Dovrai accettare la liquidazione dell’assegno sulla base soltanto dei contributi versati. In genere, ciò costituisce un grosso limite per i lavoratori. Con il metodo retributivo, che lega l’assegno alla retribuzione media degli ultimi tot anni, il pensionato tende a percepire finanche il 30% di più.
Quota 41 a confronto con pensione anticipata interamente contributiva
Già oggi esiste per legge la possibilità di andare in pensione prima, ma incassando l’assegno totalmente contributivo. Vediamo quale sarebbe la differenza con l’ipotesi di Quota 41. A legislazione vigente, chi ha compiuto 64 anni e ha iniziato a versare contributi dopo il 31 dicembre 1995, può andare in pensione con soli 20 anni di contribuzione. In cambio, il suo assegno sarà calcolato interamente con il metodo contributivo. Non solo: l’importo che viene così ad essere determinato, dovrà risultare almeno pari a 2,8 volte l’assegno sociale. Poiché questi nel 2023 è fissato a 503,27 euro, ci si può avvalere di questa via per il pensionamento anticipato solamente con un assegno non inferiore a 1.409,16 euro al mese.
Capite molto bene che non è da tutti poter andare in pensione con un assegno così elevato. Tra l’altro, bisogna anche avere iniziato a lavorare dal 1996, per cui la platea a cui si riferisce ad oggi è relativamente giovane. In futuro, probabile che questa norma possa essere sfruttata da un maggior numero di lavoratori per diverse ragioni. In primis, perché l’alternativa sarebbe di percepire un assegno già interamente contributivo, per cui la perdita risulterebbe minore e legata solo ai minori anni di contribuzione versata per il ritiro anticipato dal lavoro. Secondariamente, perché sarebbero in più a poter soddisfare il requisito anagrafico.
Anziché puntare su Quota 41, il governo Meloni potrebbe ammorbidire proprio i criteri per l’accesso alla pensione anticipata con il contributivo puro. Ad esempio, riducendo il requisito anagrafico di qualche anno e abbassando l’importo minimo dell’assegno. La ratio di questa seconda limitazione è intuibile. Il legislatore vuole evitare da un lato di mandare lavoratori in pensione con il contributivo prima dell’età ufficiale e dall’altro che questi vivano in condizioni di indigenza durante la vecchiaia a causa di importi percepiti bassi.