La Lega torna sul tema delle pensioni con il proprio cavallo di battaglia: Quota 41. Il leader della Carroccio Matteo Salvini non perde occasione per sostenere la sua battaglia a favore di coloro che dopo 41 anni di lavoro, avrebbero diritto al meritato riposo. Cosa che solo 15 anni fa era scontato ma oggi, dopo la riforma Fornero del 2012, sembra diventato uno scoglio insormontabile.
“Stiamo lavorando sul tema pensioni per agevolare chi non ce la fa più”, dice Salvini. Ma è chiaro che Quota 41 per tutti, ossia la pensione dopo 41 anni di lavoro indipendentemente dall’età, sembra troppo onerosa alla luce delle previsioni di aumento della spesa pensionistica.
Quota 41 per tutti col ricalcolo contributivo
Ma che Quota 41 sia un mero slogan politico messo in piedi per far vedere lucciole per lanterne è abbastanza evidente per chi conosce bene la materia. Inoltre, lasciare il lavoro con 41 anni di contributi a prescindere dall’età avrebbe un impatto di oltre 3 miliardi di euro in più all’anno sulla spesa pensionistica attuale (già altissima). La platea dei beneficiari dal 2025 sarebbe di circa 100 mila persone. Troppe per concedere liberamente l’uscita senza vincoli di età.
Così si pensa di disincentivare i lavoratori introducendo il sistema di calcolo contributivo, come avviene oggi per Quota 103 (in pensione sempre con 41 anni di contributi ma con almeno 62 anni di età). Ma avrebbe poco senso. L’assegno risulterebbe tagliato del 15-20% rispetto al calcolo misto. Tanto vale lavorare ancora un po’ per raggiungere i 41 anni e 10 mesi di contributi (42 e 10 mesi per gli uomini) per andare in pensione col meritato sistema di calcolo corretto.
In ogni caso, mandare tutti in pensione dopo 41 anni di lavoro potrebbe avere ricadute imprevedibili sulla spesa pensionistica. Perché molti riuscirebbero ad andare in pensione anche a ridosso dei 60 anni e l’Inps sarebbe costretto a pagare rendite per un periodo più lungo, anche in considerazione dell’allungamento della speranza di vita degli italiani.
Quota 41 al posto di Opzione Donna e Quota 103?
Sull’altare sacrificale potrebbero però finire Quota 103 e Opzione Donna in scadenza a fine anno. Le due deroghe raccolgono ormai poche migliaia di adesioni e sono diventate a tutti gli effetti marginali nel sistema pensionistico italiano. La prima già prevede il possesso di almeno 41 anni di contributi, mentre la seconda “solo” 35. Ma è vincolata al possesso di requisiti soggettivi di fragilità sociale. Inoltre è riservata solo alle donne. In entrambi i casi, il calcolo della pensione avviene col sistema contributivo puro.
Ma abbandonare Opzione Donna e Quota 103 per dare spazio a Quota 41 comporterebbe comunque un impegno finanziario maggiore rispetto a oggi. Tant’è che il leghista Giancarlo Giorgetti, Ministro dell’Economia, ha invitato alla prudenza avvertendo che:
“Eventuali interventi sul sistema previdenziale potranno essere definiti solo all’interno e in modo coerente alla sostenibilità complessiva della finanza pubblica”.
E’ quindi evidente che il ricalcolo contributivo non basterà per mettere in piedi Quota 41. Serviranno altre limitazioni: un tetto massimo di spesa, come avviene oggi per Quota 103 (4 volte il valore del trattamento minimo fino a 67 anni di età). Per Quota 41 questo limite potrebbe essere basso, secondo le simulazioni di calcolo dell’Osservatorio della spesa previdenziale istituito nel 2023 presso il Ministero del Lavoro. Per non parlare della finestra mobile che potrebbe eguagliare quanto già previsto per Quota 103. E cioè 7 mesi per i lavoratori privati e 9 mesi per i dipendenti della pubblica amministrazione.
Riassumendo…
- Quota 41 per tutti è una riforma pensioni che non risolve quasi nulla.
- Uno slogan politico della Lega che rischia solo di far vedere il bicchiere mezzo pieno.
- Ricalcolo contributivo, tetto massimo e finestra mobile lunga scoraggeranno le uscite anticipate.