Perché le quotazioni dei BTp sembrano più dipendenti da tassi e inflazione USA

Il sali e scendi delle quotazioni dei BTp sembra essere legato perlopiù all'andamento di tassi e inflazione negli Stati Uniti. E' così?
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Quotazioni dei BTp e dati macro USA
Quotazioni dei BTp e dati macro USA © Licenza Creative Commons

Insieme a un gruppo di amici investitori La seguo sempre con interesse. Mi permetto di farle una domanda che fra noi è oggetto di dibattito: perché le quotazioni dei BTp sembrano attualmente influenzate dai tassi e inflazione USA ? Non dovrebbero avere rilevanza molto maggiore l’inflazione europea e la politica monetaria della BCE ?

Quotazioni BTp legate a dati USA?

Rispondiamo con piacere a questo gruppo di lettori e investitori, anche perché il dubbio è molto diffuso. Essendo i BTp emessi dallo stato italiano, pensiamo che le loro quotazioni riflettano perlopiù le notizie in arrivo da Francoforte, dove ha sede la Banca Centrale Europea (BCE).

E naturalmente che su di esse incidano i dati macro nell’Eurozona. Ed è così, pur non esclusivamente. Anzi, può capitare in alcune fasi di riscontrare proprio quanto hanno notato i nostri lettori.

Nelle ultime settimane, i rendimenti sovrani nell’Eurozona si sono impennati e gli spread leggermente ampliati a seguito della convinzione del mercato che la Federal Reserve si prenderà una pausa sul taglio dei tassi di interesse. L’economia americana continua ad andare bene, l’inflazione resta alta e c’è il rischio che i dazi minacciati dal nuovo presidente Donald Trump facciano aumentare i prezzi delle importazioni.

Mercoledì scorso, però, è bastato che il dato sull’inflazione a dicembre negli Stati Uniti risultasse appena sotto le stime per far riprendere gli acquisti sull’obbligazionario anche europeo. Le quotazioni dei BTp sono risalite e i rendimenti scesi. Tanto per fare un esempio, il decennale è passato da un massimo settimanale del 3,85% all’attuale 3,62%. Lo spread è precipitato da un massimo di 125 a 113 punti. Perché questo legame diretto con le possibili decisioni americane?

Banche centrali evitano eccessiva divergenza

Viviamo in un mondo interconnesso, non da oggi. Chi ha qualche anno in più, ricorderà che negli anni Ottanta i tassi in Europa esplosero in risposta alla stretta monetaria della Fed.

Ciò consentì anche alla nostra inflazione di accelerare il calo, pur con effetti negativi sui conti pubblici. E questo accadde e continua ad accadere per la semplice ragione che i capitali si muovono liberamente, a maggior ragione in un mondo globalizzato (negli anni Ottanta lo era ancora parzialmente).

Cosa accade se la Fed decide di tenere i tassi ai livelli attuali? Se la BCE continuasse a tagliarli, i capitali troverebbero conveniente spostarsi negli Stati Uniti a caccia di maggiori rendimenti. Ciò farebbe crollare il cambio euro-dollaro, com’è già accaduto negli ultimi mesi. E non è un fatto positivo. Un euro debole aumenta il costo delle importazioni e fa risalire l’inflazione. Per questo le banche centrali cercano di non divergere troppo tra di loro. Quando nel giugno scorso la BCE decise di tagliare i tassi per la prima volta, fu una novità. Non era mai accaduto che anticipasse la Fed in tal senso.

Fed batte i tempi sui tassi

In qualità di banca centrale della prima economia mondiale, quest’ultima batte i tempi della politica monetaria nell’intero pianeta. Prima o poi, tutti devono farci i conti. Ad esempio, se la Fed tornasse ad alzare i tassi, la BCE finirebbe per smettere di tagliarli come minimo. I mercati lo sanno e interpretano quanto prevedono che accada ad Atlanta con relativo impatto sul mercato europeo. Quotazioni dei BTp incluse. Ovviamente, nessuna banca centrale ammette esplicitamente che sia così. A domanda diretta, Christine Lagarde, governatore della BCE, ha sempre dichiarato che le decisioni di Francoforte prescindono da quelle della Fed. Non è semplice orgoglio, quanto la necessità di convincere il mercato che la propria politica monetaria sia esercitata in maniera indipendente.

Prima dell’euro, le cose stavano persino “peggio” per noi italiani. Non solo risentivamo delle decisioni della Fed, ma più direttamente di quelle della Bundesbank.

Quest’ultima era molto più decisa a combattere l’inflazione anche rispetto agli stessi Stati Uniti, per cui in più occasioni si ritrovò ad alzare i tassi, trascinando la Banca d’Italia nella stretta. Se Roma non avesse seguito, la lira sarebbe precipitata sul mercato. Cosa che accadde di frequente con le svalutazioni e l’attacco speculativo del 1992 scatenato proprio dal rialzo dei tassi in Germania per combattere l’inflazione dopo la caduta del Muro.

Quotazioni BTp esempio di sovranità limitata

L’ex premier Mario Draghi, nel difendere l’euro, disse una volta che esso ci consente oggi di partecipare alle decisioni di politica monetaria nell’Eurozona, mentre con la lira le subivamo più o meno passivamente. A dimostrazione che sono sempre esistite interconnessioni tra policy makers. Il sali e scendi per le quotazioni dei BTp in reazione alle notizie dall’America è l’esempio più lampante di come non esista un’assoluta sovranità monetaria (e fiscale) esercitabile dai singoli stati.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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