Oltre 400 pagine pubblicate all’inizio di questa settimana danno forma a quel rapporto di Mario Draghi sulla competitività nell’Unione Europea, che gli era stato commissionato nel 2023 dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. La montagna non ha partorito il topolino, ma non possiamo neanche affermare che l’ex premier e prima ancora governatore della Banca Centrale Europea abbia sorpreso nelle sue analisi e indicazioni con spunti originali. In un certo senso, i problemi del Vecchio Continente sono noti a tutti da molti anni, per cui non ci si poteva certamente inventare nulla.
Rapporto Draghi, cause del declino europeo
Il rapporto Draghi ha individuato nell’eccesso di regolamentazione e di atti legislativi una causa fondamentale per la ridotta competitività del sistema europeo. Servono troppi permessi e troppo costosi, specie per le piccole imprese. E se nel decennio passato negli Stati Uniti sono state approvate 3.500 leggi a livello federale, nell’Unione Europea sono state 13.000. Alla regolamentazione già soffocante di Bruxelles si sommano quelle degli stati nazionali, spesso su pressione di gruppi di interesse.
Infine, il rapporto Draghi accende i fari anche sugli aiuti di stato. Corretto prevederne il divieto per agevolare una reale concorrenza ad armi pari nell’area. Il problema, spiega, è che l’eccesso ha portato alla scarsa propensione all’innovazione tra le imprese. Si guarda troppo all’impatto che le fusioni hanno sui prezzi, mentre si dovrebbe porre attenzione, spiega, anche su innovazione e competizione nel lungo periodo. Tradotto: l’Unione Europea ostacola di fatto la nascita di colossi transnazionali, impedendo alla nostra economia di competere con gli altri grandi attori mondiali.
Draghi invoca il superstato UE
Tutte analisi corrette, ma la soluzione? La conseguenza logica sarebbe di chiedere che Bruxelles legiferi di meno secondo un principio di sussidiarietà. Invece, il rapporto Draghi punta tutto sull’ulteriore accentramento dei poteri in mano alle istituzioni comunitarie. Esso persegue esplicitamente la nascita del “superstato“. Per fare cosa? Dare impulso all’innovazione con un super piano Marshall da 800 miliardi di euro all’anno, il 5% del Pil. Dove prenderebbe l’Unione Europea tanto denaro? A debito, ça va sans dire. Il termine non si trova tra le pagine, ma nei fatti l’ex premier italiano ripropone gli Eurobond sul modello del Next Generation Eu.
Torna il concetto di debito buono
Il rapporto Draghi ricalca il pensiero del suo autore, ben esternato quattro anni fa al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini. Fu quella l’occasione in cui parlò per la prima volta di “debito buono“. Sarebbe stato il suo leitmotiv a Palazzo Chigi, senonché con l’aumento dei tassi il discorso non fu implementato del tutto. Ed è questo a deludere profondamente di Draghi. Egli propone il ricorso al debito comune per risolvere i tanti mali che affliggono l’economia europea, molti dei quali originano anche dall’eccesso di debiti nazionali. Vedasi l’Italia.
La delusione è ancora più cocente se si pensa che il rapporto Draghi sembri essere slegato dalla realtà politica. Ammesso che la cura fosse quella individuata dall’italiano, era difficile immaginare che ci sarebbe stata una levata di scudi in tutto il Nord Europa? Si dirà che egli abbia voluto volare alto, sopra la politica, essendo del resto un tecnocrate. Ma questo implicherebbe insinuare la perfetta inutilità del suo rapporto, il quale resterebbe un ammasso di pagine vuote, senza alcuna possibilità di applicazione pratica. Per quello ci sono già i centri studi, gli economisti, gli editoriali dei quotidiani finanziari, ecc.
Rapporto Draghi resterà lettera morta
Se von der Leyen ha commissionato a Draghi un rapporto sulla competitività, è perché si aspettava un esito concreto, spendibile sul piano politico. Non è stato questo l’esito. C’è il serio rischio che esso venga cestinato, finendo nel dimenticatoio delle passate cronache politiche. Sarebbe dovuto essere un momento di svolta per una Unione Europea senza bussola da decenni. Invece, siamo all’ennesimo pamphlet imbastito di belle parole, ma che non cambieranno di una virgola le vite di 450 milioni di cittadini comunitari.