Non sarà un’eredità facile da gestire quella che la defunta sovrana Elisabetta II lascia al figlio Re Carlo III. La figura di Sua Maestà, la Regina Elisabetta II, si è erta per sette decenni sopra ogni evento e personaggio del suo regno. La sua è stata una personalità imponente, onnipresente, ma profondamente discreta fino al punto da essere percepita agli occhi di un osservatore superficiale e straniero quasi assente. La regola d’oro di Elisabetta sin dal 1952 fu “never complain, never explain”.
Con ciò intendeva che mai avrebbe dovuto lamentarsi in pubblico e mai avrebbe dovuto fornire spiegazioni in pubblico. La nonna le insegnò al suo debutto da regina l’arte del silenzio: mai una parola o anche solo una smorfia relativa alla politica. La corona è di tutti i sudditi, ma nel momento in cui si dà anche solo l’idea di essersi schierati per questo o quel partito o leader o per questa o quella idea, svanisce in un attimo l’aura di superiorità del sovrano.
La regola del silenzio fino a Elisabetta II
Per Elisabetta II non fu sempre facile seguire tale regola, specie quando nei suoi primi anni di regno a capo del governo vi era un ormai anziano Winston Churchill, mal tollerato persino dal suo partito. E non le fu facile assistere passivamente ai tre governi di Margaret Thatcher. Negli anni Ottanta, la Lady di Ferro si pose l’obiettivo di rivoltare il Regno Unito come un calzino. Per farlo decise di staccare la spina a quell’industria di stato e anche privata che sopravviveva solo grazie agli aiuti di stato. Imprese in perdita, che pretendevano di andare avanti con i soldi dei contribuenti.
Lì, dove era nata la rivoluzione industriale, “Maggie” smantellò alcuni pezzi di industria nel nome dell’efficienza e del rilancio del capitalismo. Un colpo al cuore al passato fastoso dell’impero britannico, a cui Elisabetta cercò di reagire dietro le quinte.
Ma come nel caso di Churchill, mai intervenne in pubblico per redarguire la premier. I sudditi ebbero, però, la sensazione che Buckingham Palace e Downing Street non fossero perfettamente allineati.
Carlo III l’ecologista filantropo
Per Carlo III la regola del silenzio sarà più dura da seguire. In primis, perché ha vissuto fino all’età di quasi 74 anni da Principe di Galles, cioè da erede al trono. Ha potuto così permettersi una libertà di parola ben maggiore di quella che gli sarebbe stata concessa se fosse stato Re. All’ombra della madre, ha potuto dedicarsi per decenni alle sue cause ambientaliste, alla filantropia, esprimendo anche giudizi politici. Egli stesso qualche mese fa riconobbe che tale libertà sarebbe venuta meno con l’ascesa al trono. Ha promesso che da Re non avrebbe più proferito parola sui temi politici.
Fino alla lettura in Parlamento del programma di governo, scritto dall’ex premier Boris Johnson nel maggio scorso, tuttavia, il suo viso lasciava trapelare una certa presa di distanza. Egli lesse al posto della madre, stanca e affaticata: in un certo senso il primo vero passaggio di consegne sotto gli occhi del mondo. Avrebbe dovuto già esercitare quella regola d’oro del silenzio, anche con la mimica facciale.
Un regno poco unito e il futuro di William & Kate
La speranza è che ci riesca ora che re lo è davvero. Il regno ne ha bisogno, perché al di là del nome ufficiale, è meno unito che mai. Dilaniato da vocazioni secessioniste in Scozia e Irlanda del Nord e in cerca di un ruolo nel mondo post-Brexit, dal caro bollette che svuota le tasche dei sudditi e le difficoltà economiche si aggravano. Carlo III deve saper essere Elisabetta II e paradossalmente prendere esempio dal figlio William, prossimo futuro Principe di Galles.
Pur giovane, egli non ha mai esternato alcuna opinione personale e si accompagna a una moglie, Kate Middleton, finora impeccabile nel suo ruolo di futura regina.
Ha preso tutto dalla nonna. Lui.