Il vice-governatore della BCE, Vitor Constancio, nel corso di una conferenza di ieri a Francoforte ha segnalato la possibilità che il target d’inflazione nell’Eurozona venga non solo centrato, bensì pure superato, mantenendo un certo grado di accomodamento monetario e tenendo conto che l’inflazione sia stata nell’area al di sotto dell’obiettivo negli ultimi anni. Quella del numero due dell’istituto è una riflessione in atto almeno da un anno nel board, ovvero se la BCE debba spingersi fino ad accettare una crescita tendenziale dei prezzi più alta del target (“di poco inferiore al 2”) per un certo periodo di tempo, in modo da compensare quella insufficiente degli ultimi 4 anni e mezzo.
E stando alla conferenza stampa successiva all’ultimo board di giovedì scorso, da qui al 2019 non soltanto l’obiettivo sui prezzi non sarà raggiunto, ma negli ultimi mesi sembra allontanarsi ulteriormente, essendo state le stime tagliate di un decimale per il biennio e rispettivamente all’1,2% e all’1,5%. Draghi dovrà fare di tutto per evitare che l’euro continui a rafforzarsi, altrimenti l’impatto sull’inflazione sarebbe ancora più negativo, abbassando il costo dei beni importati.
Le ripercussioni sulle altre banche centrali
La BCE è una banca centrale molto grande, attuando la politica monetaria della seconda area più ricca al mondo. Ad essa guardano tutte le altre banche centrali nel resto d’Europa, sia quelle dell’est, legate all’euro da un “crawling peg”, ovvero da un cambio con variazioni limitate, sia quelle del nord, dove il ciclo economico non coincide perfettamente con quello dell’Eurozona, ma è ad esso molto connesso.
Il governatore Stefan Ingves sostiene che sarebbe “troppo rischioso” avviare la svolta monetaria, se non prima faranno lo stesso le altre banche centrali, come la BCE per prima, altrimenti la corona svedese potrebbe rafforzarsi e rallentare la crescita dei prezzi interni. (Leggi anche: La Svezia anticipa Draghi e vara altri stimoli)