A breve, la Commissione europea dovrebbe erogare agli stati beneficiari la prima tranche dei 750 miliardi di euro tra prestiti e sovvenzioni con il Recovery Fund. Per quest’anno, sono previste emissioni di bond comunitari per 80 miliardi. Qualcuno li definisce impropriamente “Eurobond”, ma sta di fatto che di debito comune si tratti senza ombra di dubbio. Tuttavia, gli stati del Nord Europa pongono l’accento sull’eccezionalità di questa misura, mentre quelli del Mediterraneo sperano che sia solo un incipit di vera unione fiscale.
All’Italia spetteranno 191,5 miliardi di euro in 6 anni. Di questi 122,6 miliardi saranno prestiti e 68,9 miliardi sovvenzioni. I prestiti per definizione andranno restituiti, mentre le sovvenzioni sono a tutti gli effetti aiuti a fondo perduto. Pertanto, nel calcolo del beneficio netto, sono da considerarsi esclusivamente le seconde, pur con qualche precisazione che di seguito faremo.
Poiché i quasi 69 miliardi di sovvenzioni con il Recovery Fund non dovranno essere restituiti, possiamo affermare che sia questa la cifra netta che l’Italia incasserà effettivamente. In realtà, bisogna tenere conto che la stessa Italia dovrà contribuire a pagare pro-quota i 390 miliardi di aiuti previsti con il programma. L’importo che dovrà pagare sarebbe nell’ordine dei 45 miliardi. Dunque, il beneficio netto dell’Italia sarebbe di 25 miliardi, spalmato in 6 anni. Ad occhio e croce, qualcosa come 4 miliardi all’anno, lo 0,25% dell’attuale PIL.
Beneficio netto del Recovery Fund
Ma attenzione a fare conti frettolosi. Dei fondi comunitari del bilancio 2014-2020, l’Italia è arrivata penultima, davanti solo alla Croazia, per capacità di spesa. Siamo stati in grado di spendere effettivamente poco più di un terzo della cifra a noi destinata. Ebbene, qualora questo dato si trasferisse sulle sovvenzioni, rischieremmo di spendere solamente sui 25 dei quasi 70 miliardi a noi stanziati, mentre dovremmo contribuire ugualmente per 40-45 miliardi. In sostanza, il saldo per l’Italia sarebbe negativo.
E non è tutto. Ogni anno, l’Italia contribuisce al bilancio comunitario per circa 3 miliardi in più rispetto a quanto riceve. Dunque, nella migliore delle ipotesi, con il Recovery Fund ci metteremmo semplicemente a pari. Non è finita. Parte del Recovery Fund dovrà essere finanziato attraverso l’imposizione di nuove tasse comunitarie. Tra queste, già prevista la tassa sulla plastica per imballaggi non riciclabile, così come si discute tra i governi su una possibile carbon tax per sostenere la svolta “green”, la digital tax e la rivisitazione del sistema delle quote riguardo alle emissioni inquinanti.
Questo significa che il sistema Italia contribuirà anche attraverso il prelievo fiscale al Recovery Fund. Qualcuna di queste tasse, poi, rischiano di impattare piuttosto negativamente il nostro sistema produttivo. L’Emilia-Romagna, ad esempio, ospita il distretto della plastica e gli imballaggi rappresentano un suo business primario.
L’occasione dei fondi europei
D’altra parte, dobbiamo anche evitare di vedere tutto nero. Il Recovery Fund presenta effettivamente benefici da cogliere. Per quanto siano quasi totalmente soldi nostri, l’ombrello di Bruxelles agli investimenti nazionali ci serve, eccome. Se il governo italiano annunciasse di voler investire in autonomia oltre 190 miliardi in 6 anni, i mercati finanziari non la prenderebbero bene. Metterebbero i nostri titoli di stato nel mirino, dato il già altissimo debito pubblico. Questa partita di giro con l’Unione Europea, invece, rassicura per due ragioni: i prestiti ottenuti dovremo restituirli nell’arco di decenni e a tassi quasi azzerati; i commissari sorveglieranno sul piano della qualità della spesa.
In conclusione, il Recovery Fund ci permetterà di investire laddove non abbiamo potuto farlo per molti anni, a causa delle ristrettezze fiscali. Il controllo di Bruxelles eviterà impieghi improduttivi e ci costringerà a spendere in voci orientate alla crescita nel medio-lungo termine. Il costo sarà così basso da non essere percettibile da qui a qualche decennio.