Si chiamano Puc ma somigliano tanto ai vecchi lavori socialmente utili (LSU). I Puc, non sono altro che Progetti Utili alla Collettività che i beneficiari del reddito di cittadinanza sono tenuti a svolgere nel proprio Comune di residenza per almeno 8 ore settimanali, aumentabili fino a 16. Pena la perdita del diritto a fruire dei benefici economici.
A seguito della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale del 22 ottobre 2019 che definisce forme, caratteristiche e modalità di attuazione dei Puc, il decreto ministeriale del 14 gennaio 2020 stabilisce, le modalità di impiego dei beneficiari del reddito di cittadinanza per lo svolgimento di progetti sociali nei Comuni di residenza.
I Progetti Utili alla Collettività
Sono tenuti ad offrire la propria disponibilità allo svolgimento dei Puc i beneficiari del reddito di cittadinanza che abbiano sottoscritto un Patto per il Lavoro o un Patto per l’Inclusione Sociale, pena la decadenza dal beneficio. La partecipazione ai progetti è facoltativa per le persone non tenute agli obblighi connessi al reddito di cittadinanza, che possono aderire volontariamente nell’ambito dei percorsi concordati con i servizi sociali dei Comuni/Ambiti Territoriali. Oltre a un obbligo, i Puc rappresentano un’occasione di inclusione e crescita per i beneficiari e per la collettività.
Una misura già prevista dalla legge
L’art. 4, comma 15, della legge sul reddito di cittadinanza stabilisce che il beneficiario di tale provvidenza è tenuto ad offrire la propria disponibilità per la partecipazione a progetti a titolarità dei Comuni, utili alla collettività, in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni, presso il Comune di residenza, mettendo a disposizione un numero di ore compatibili con le altre attività dell’interessato e comunque non inferiori a 8 ore settimanali, aumentabili sino a 16 con il consenso di entrambe le parti.
Le regole dei Puc stabilite nel decreto
Il decreto che istituisce i Puc risale al 22 ottobre 2019, ma è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale solo lo scorso 8 gennaio 2020. In base alle innovazioni introdotte, viene stabilito che i Comuni possono avvalersi della collaborazione dei beneficiari del reddito di cittadinanza. Le attività svolte non sono assimilabili ad attività di lavoro subordinato, parasubordinato o autonomo e non determinano la instaurazione di alcun rapporto di lavoro. Inoltre – sempre in base al decreto in parola – “i partecipanti ai progetti non possono svolgere attività in sostituzione di personale dipendente, non possono ricoprire ruoli o posizioni nell’organizzazione del proponente il progetto, non possono sostituire lavoratori assenti a causa di malattia, congedi parentali, ferie ed altri istituti, o venire impiegati per far fronte esigenze di organico in periodi di particola intensità di lavoro”. L’art. 3 del decreto stabilisce poi che “il catalogo dei Puc attivati, per ambito di attività e numero posti disponibili, è comunicato dal Comune nell’apposita sezione della piattaforma GEPI”.Spetta quindi ai Comuni, tramite i propri responsabili dei servizi, operare gli abbinamenti tra i posti disponibili nei progetti e i beneficiari del reddito di cittadinanza, con obbligo del rispetto di criteri di priorità nel caso di posti non sufficienti.
Una nuova forma di LSU
I percettori del reddito di cittadinanza, tenuti a prestare una qualche attività a favore della collettività, richiamano alla mente i “lavoratori socialmente utili”degli anni ‘90, vale a dire i lavoratori disoccupati o in Cig, percettori di un’indennità erogata dall’Inps per integrare la retribuzione di lavoratori di aziende in crisi , che sono stati impiegati in servizi di pubblica utilità nella pubblica amministrazione.