Reddito di cittadinanza, requisito dei 10 anni di residenza bocciato dai giudici europei miopi

Il requisito dei 10 anni di residenza per accedere al reddito di cittadinanza è stato dichiarato "illegittimo" dalla Corte di Giustizia UE.
3 mesi fa
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Reddito di cittadinanza, bocciato requisito residenza
Reddito di cittadinanza, bocciato requisito residenza © Licenza Creative Commons

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato “illegittimo” il requisito dei 10 anni di residenza, di cui gli ultimi 2 continuativi, per accedere al reddito e alla pensione di cittadinanza in Italia. Per i giudici comunitari, il sussidio sarebbe una “misura di protezione sociale essenziale” e requisiti stringenti finiscono per escludere i cittadini stranieri dalla fruizione. In passato si era espresso in senso opposto la Corte Costituzionale italiana, secondo cui non si tratterebbe di un diritto primario, bensì di una misura di “politica attiva del lavoro e di integrazione sociale”.

Residenza reddito di cittadinanza, anni di polemiche

Il reddito di cittadinanza propriamente detto non esiste da quest’anno, rimpiazzato dal cosiddetto assegno di inclusione. I requisiti per accedervi sono più stringenti, escludendo i soggetti tra 18 e 59 anni privi di invalidità e senza figli a carico. Le polemiche sul sussidio non sono mancate sin dal suo debutto nell’aprile del 2019. Per gli oppositori, tra cui allora il PD, avrebbe scoraggiato l’occupazione e si sarebbe tradotto in una misura puramente assistenziale. Per i sostenitori, quasi coincidenti con il Movimento 5 Stelle, avrebbe migliorato le retribuzioni più basse e ridato dignità a milioni di famiglie. Una parte dell’opinione pubblica, poi, considerò la misura persino insufficiente, a causa dei requisiti non sempre agevoli da possedere per accedervi.

Stato sociale possibile grazie a chi produce

I 10 anni di residenza per il reddito di cittadinanza furono previsti su pressioni della Lega, allora in maggioranza con i 5 Stelle, al fine di evitare che il sussidio finisse essenzialmente in mani straniere. La questione è semplice. Se l’assegno deve andare ai più poveri e se gli immigrati risultano senz’altro rientrare in questa categoria (non tutti, ovviamente), questi risulterebbero tra i principali beneficiari. Che male ci sarebbe? Nessuno, in teoria. Sul piano economico, offriremmo un sostegno a consumatori sul nostro territorio nazionale.

Il problema che ci si pone è diverso. E’ corretto che milioni di persone godano dello stesso stato assistenziale garantito ai cittadini del Bel Paese? La questione è diventata da tempo rilevante in tutta Europa. Il cosiddetto “welfare state”, che consiste nell’erogare servizi e sussidi alle persone, esiste grazie al fatto che la stragrande maggioranza della popolazione produce ricchezza e paga le tasse. Se così non fosse, lo stato non disporrebbe di risorse per garantire scuola, sanità, pensioni e assistenza di vario titolo a chi ne ha bisogno. La Scandinavia è stata sempre esemplare sul tema: stato sociale sviluppatissimo, senza eguali nel mondo; ma guai a voler fregare lo stato.

Bruxelles ripete gli errori con la Brexit

Se abbiamo un welfare ancora degno di questo nome, lo si deve a decenni, anzi a secoli di sacrifici e battaglie compiuti dalle diverse generazioni per costruire ciò che oggi ci appare scontato. Basta entrare in Italia per condividerne i risultati, magari concorrendo il giorno dopo per l’assegnazione di un alloggio popolare o per ricevere il reddito di cittadinanza senza alcun requisito legato alla residenza? Se così, quanto pensiamo che potrà durare lo stato sociale?

Se 10 anni sono troppi, ragioniamoci su senza fanatismi. Ma che la residenza debba rimanere requisito indispensabile per richiedere il reddito di cittadinanza, appare persino scontato. I giudici europei applicano le leggi sempre più seguendo una sorta di indirizzo ideologico che sta smantellando le basi su cui è stata costruita l’Europa. Slegare i diritti dai doveri è il modo più veloce per affievolire i primi. Ricordate come si arrivò alla Brexit? Nel Regno Unito infuriava la polemica sui lavoratori dell’Est Europa, i quali godevano dei medesimi sussidi e diritti sociali dei britannici non appena mettevano piede sull’isola.

Residenza per reddito di cittadinanza essenziale

Il governo dell’allora premier conservatore David Cameron chiede all’Unione Europea la possibilità di introdurre eccezioni, tra cui proprio requisiti legati a un periodo minimo di residenza per beneficiare del welfare nazionale.

Bruxelles rispose picche, in preda a un’ideologia egualitaria del tutto priva di significato concreto. Il punto è che si preferì perdere Londra, anziché guardare in faccia la realtà. La residenza per il reddito di cittadinanza potrà essere abbassata da 10 a 8 o meno anni. Se abolita, avremmo semplicemente il turismo del welfare. Milioni di extra-comunitari, che a stento conoscono dove si trovi l’Italia, avrebbero diritto a richiedere un sussidio sulle spalle di chi lavora e produce, italiani e stranieri che siano. Questo non sarebbe stato sociale, ma il Bel Paese dei balocchi.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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