La Corte dei Conti ha decretato il flop del reddito di cittadinanza, ma sarebbe più onesto affermare che abbia smascherato le bugie raccontate dal governo Conte (“giallo-verde” e “giallo-rosso”) agli italiani, i quali hanno finto di credervi: solo il 2% di chi usufruisce del sussidio ha trovato lavoro. Su una platea di circa 2,3 milioni di beneficiari al termine dello scorso anno, parliamo di circa 40 mila persone. Attenzione, perché i magistrati contabili non hanno scritto che questi abbiano trovato lavoro grazie al reddito di cittadinanza, bensì semplicemente dopo che hanno iniziato a riceverlo.
La polemica si arricchisse dei soliti dettagli all’italiana. Per transitare i beneficiari nel mondo del lavoro, lo stato ha assunto quasi 3.000 navigator, termine osceno e quanto mai pittoresco. Percepiscono 27.399 euro lordi all’anno e 300 euro in più al mese di spese di trasferta e hanno un contratto fino al prossimo mese di aprile, quando probabilmente verrà loro rinnovato. Ebbene, molti di loro hanno fatto richiesta all’INPS e ottenuto il bonus dei 600 euro con la pandemia, nonostante abbiano continuato a percepire il reddito loro erogato dallo stato, pur non lavorando.
La stampa ha parlato di “fallimento dei navigator”, eppure questi poveri disgraziati sono stati caricati di un onere a dir poco storico: far trovare lavoro a milioni di cittadini, specie al sud, dove il lavoro non c’è mai stato abbondante e ancor meno c’è oggi. Ogni navigator ha teoricamente sulle spalle più di 800 percettori del reddito di cittadinanza, che deve convocare, al fine di capire quali siano le potenziali opportunità professionali che possa cogliere sulla base del loro profilo.
Meccanismo assistenziale ipocrita
Il fatto che quasi nessuno abbia così trovato un posto di lavoro non significa che a fallire siano stati i navigator.
Siamo dinnanzi a una colossale presa in giro a carico dei contribuenti. Pensavate che i milioni di disoccupati e inattivi italiani fossero tali per l’incapacità di trovare un lavoro o per l’assenza effettiva di opportunità? Il navigator avrebbe senso in un mercato del lavoro caratterizzato da quel fenomeno che gli economisti definiscono “labour mismatch”, vale a dire il mancato incontro tra domanda e offerta, spesso per le differenti “skills” richieste ai candidati rispetto a quelle possedute. Un esempio può essere quello di una fabbrica che vuole assumere un tornitore e non ne trova uno con esperienza, mentre dall’altra parte del mercato abbiamo un giovane laureato in lettere che rimane inattivo.
Il problema in Italia esiste, ma non è determinante ai fini degli alti livelli percentuali di disoccupati e della bassa occupazione, specie nel Meridione. Non si vede cosa dovrebbe fare un navigator, al di là di qualche telefonata ai percettori del reddito di cittadinanza e la verifica delle richieste di lavoratori iscritti ai Centri per l’impiego da parte delle imprese. Da decenni i vecchi uffici di collocamento assolvono a questo compito con estremo insuccesso. I carrozzoni pubblici non sono mai serviti a creare lavoro, se non a favore dei loro stessi dipendenti. I grillini hanno voluto istituire un meccanismo esclusivamente assistenziale e per ripararlo il più possibile dalle critiche di chi sosteneva e continua a sostenere che questo sussidio avrebbe disincentivato al lavoro si sono inventati la figura del navigator, perlopiù un giovane inesperto in cerca della sua prima esperienza lavorativa significativa.