Anche il reddito di cittadinanza finisce nel mirino dell’Ocse. L’organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa invita, senza mezzi termine, il nostro Paese a tagliare il sussidio a partire dal 2022.
L’Italia, fra bonus a pioggia e assistenza a tutto campo sta diventando un Paese di sussidiati – dice l’Ocse – e rischia di esserne compromessa la competitività e la produttività. In altre parole, se aumenta l’assistenzialismo diminuisce l’occupazione. Ne va della produttività e della crescita economica.
Reddito di cittadinanza da ridimensionare
L’Ocse non dice che il reddito di cittadinanza va abolito. A tutti gli effetti è servito a evitare lo sprofondamento di molte famiglie in stato di povertà durante la pandemia. Questa misura, però, non deve essere definitiva e va cambiata.
Gli esperti dell’organizzazione fanno quindi notare che il numero di beneficiari del reddito di cittadinanza che di fatto hanno trovato lavoro è scarso. Del resto in un Paese dove la disoccupazione giovanile viaggia intorno al 28%, non c’è da meravigliarsi se manca l’offerta. E quando arriva, si tratta sempre di impieghi temporanei, saltuari e malpagati. Così, secondo l’ Ocse
“bisogna ridurre e assottigliare il reddito di cittadinanza per incoraggiare i beneficiari a cercare lavoro nell’economia formale e introdurre un sussidio per i lavoratori a basso reddito”.
Il vero problema di chi non trova lavoro
Quello che non va bene del reddito di cittadinanza non è la destinazione a persone disagiate o in difficoltà, ma l’importo del sussidio. Mensilmente sono erogati in media 550 euro a persona con punte che arrivano a oltre 700 euro (dati Inps).
Se i salari medi per contratti lavorativi di basso manovalanza o temporanei sono di poco superiori a tali soglie, viene da sé che si preferisca stare a casa ad aspettare il sussidio dello Stato piuttosto che andare a lavorare.
Gli italiani che percepiscono il reddito di cittadinanza sono 2,6 milioni, mentre gli stranieri residenti e con permesso di soggiorno ammontano a 327 mila, il 10 per cento circa.
In totale si tratta del 4,4% della popolazione residente e di quasi il 10% di quella attiva. Tirate le somme, lo Stato spende più di 13 miliardi di euro all’anno, più di quanto inizialmente preventivato quando fu varata la riforma nel 2019.