L’importo massimo del reddito di cittadinanza può essere riconosciuto solo a chi sostiene un canone di locazione perché include il cd bonus affitto. Eppure, a ben vedere, proprio le famiglie che non hanno casa di proprietà potrebbero essere penalizzate dalla misura. Come’è possibile questo apparente paradosso? Tre esempi di casi tipici ci aiutano a capire meglio (analisi che vale anche per la pensione di cittadinanza).
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La conclusione è che il reddito di cittadinanza, così formulato, finisce con il trattare in modo diverso nuclei familiari nelle stesse condizioni economiche ma che pagano canoni di locazione leggermente superiori o minori tra di loro o, al contrario, di equiparare nuclei familiari composti in maniera diversa e con Isee differente ma che corrispondono lo stesso affitto.
Immaginiamo tre famiglie tipo, che chiameremo per semplicità i Rossi, i Bianchi e i Verdi, tutte composte da una sola persona e con reddito familiare rispettivamente di 6.000, 9.360 e 9.360. Il signor Rossi vive in casa di proprietà, il signor Bianchi paga 3.600 euro l’anno di affitto e il signor Verdi 3 mila. Ebbene potrebbe capitare che chi paga un affitto più alto sia escluso dal riconoscimento del sussidio economico. Questo si spiega con un empasse: avviene infatti quando la differenza di Isee versata per il canone di affitto dal signor Bianchi non dà diritto al Rdc, dato che il “reddito familiare” in questo caso eccede la soglia per l’accesso alla misura (9.360 euro). Confrontando la situazione del signor Bianchi con il signor Verdi ci troviamo invece nel caso in cui a parità di situazione economica risultante dall’Isee (quindi con lo stesso reddito a disposizione dopo aver pagato l’affitto) e con due canoni quasi uguali, al primo sarebbe rifiutata la domanda di Rdc, mentre al secondo sarebbe riconosciuto anche il bonus affitto.
Come dovrebbe essere calcolato il reddito di cittadinanza per le famiglie che vivono in affitto
Quale possibile soluzione per evitare questi paradossi? Per superare questo rischio di trattamenti iniqui, bisognerebbe ristabilire il parametro unitario al reddito disponibile rappresentato dall’Isee, superando la divisione del reddito in due categorie di voci (quelle positive da una parte e il canone di locazione dall’altra) oggetto di integrazione distinta. A maggior ragione se subentrano parametri esterni come la scala di equivalenza. Il Rei, “antenato” del RdC, era già più in linea con questa impostazione.