Ai sensi di legge, chiunque nel tentativo di richiedere ottenere il Reddito di Cittadinanza presenti dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere oppure ometta informazioni dovute è punito con la reclusione da due a sei anni.
È prevista, invece, la reclusione da uno a tre anni nei casi in cui si ometta la variazione di reddito, patrimonio o altre informazioni rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio.
In entrambi i casi, è prevista la decadenza dal beneficio con efficacia retroattiva e la restituzione di quanto indebitamente percepito.
Ad ogni modo, una recente sentenza della Corte di Cassazione, la 44366 del 30 novembre 2021, ha fornito un’interpretazione diversa e restrittiva della norma. Vediamo meglio di cosa si tratta.
Reddito di cittadinanza, la falsa dichiarazione non è sempre reato
Con la sentenza n. 44366 del 30 novembre 2021, la Corte di Cassazione ha fornito un’interpretazione diversa e restrittiva della norma relativa alla falsa dichiarazione in fase di richiesta del reddito di cittadinanza. Secondo il nuovo parere della cassazione, sussiste il reato solo quando l’omessa dichiarazione ha il fine di ottenere il beneficio senza averne il diritto e non se viene percepito un sussidio maggiore rispetto al dovuto.
Il caso in argomento riguarda un richiedente che non aveva dichiarato che il padre era detenuto. In questo modo, il nucleo familiare ha ottenuto un reddito di cittadinanza più alto rispetto a quanto realmente dovuto. Ma il testo della norma, viene esposto nel ricorso, parla letteralmente di “beneficio indebitamente percepito”.
Dello stesso parere è stata la Corte di Cassazione che, con la sentenza in argomento, afferma che non sarebbe reato fornire informazioni false o incomplete se non influiscono sul diritto di accesso al reddito di cittadinanza. Il nucleo familiare, così, non decadrà nemmeno dal beneficio.
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