Anche in Italia se ne parla, pur se con sfumature diverse, mentre il governo in Finlandia lo ha iniziato a sperimentare su 2.000 cittadini, che riceveranno mensilmente 560 euro e senza condizioni. E’ il reddito minimo garantito, un’idea che serpeggia in economia da decenni, se non da secoli e che inizia a farsi strada in questi ultimissimi anni per effetto di quella che molti economisti e politici temono diventi una crisi cronica dell’occupazione, causata dal progresso tecnologico. Secondo uno studio McKinsey, da qui al 2030 ben 800 milioni di posti di lavoro, fino a un quinto del totale, potrebbero andare persi e sostituiti dalle macchine, i famosi robot.
Iniziamo con le proposte in voga in Italia. Il Movimento 5 Stelle propone da tempo il cosiddetto “reddito di cittadinanza” da erogare ai disoccupati e a quanti siano afflitti da condizioni di disagio sociale. L’ex premier Silvio Berlusconi, invece, ha parlato nei giorni scorsi di redditi di dignità da 1.000 euro al mese, richiamandosi all’economista americano Milton Friedman, pur se interpretandone il pensiero in maniera diversa. Se il padre del monetarismo proponeva, infatti, un’imposta negativa sui redditi inferiori a una certa soglia (lo stato, anziché prendere, pagherebbe il contribuente, a seconda dell’aliquota gravante sul gap di reddito), il leader azzurro spiega che lo stato offrirebbe ai cittadini l’importo mancante per arrivare ai 1.000 euro al mese, anche se non ha specificato a quali categorie si riferisse.
Da parte sua, il governo Gentiloni ha introdotto il Reddito di inclusione sociale, in favore delle famiglie meno abbienti e dietro condizioni abbastanza restrittive per le limitate risorse stanziate (nell’ordine di centinaia di milioni di euro).
Reddito minimo garantito va bene senza condizioni
Il reddito minimo garantito potrebbe essere di quelle misure che mettano d’accordo destra e sinistra per ragioni non solo di facile consenso, ma persino ideologiche. Contrariamente a quanto si pensi, esso sarebbe più popolare a destra, tra i politici più libertari, che non a sinistra. Perché? Con esso, lo stato garantirebbe a tutti un reddito indispensabile per vivere, ma in sostituzione dell’assistenza sociale finora fornita, ovvero chi intascasse ogni mese l’assegno non potrebbe reclamare altre prestazioni assistenziali. In un’ipotesi ardita, lo stato si limiterebbe a erogare denaro, con il quale il cittadino si pagherebbe scuola, sanità e ogni altra forma di sussistenza.
Perché il reddito minimo garantito sarebbe, almeno in teoria, una soluzione preferibile persino per i politici più contrari a uno stato troppo generoso in fatto di welfare? Perché con il denaro così distribuito in misura uguale a tutti, ciascuno si assicurerebbe un’assistenza adeguata, senza spingere lo stato a creare apparati burocratici (uffici, dipendenti pubblici, enti di controllo, etc.) e agendo in condizioni di libero mercato, vale a dire minimizzando i costi e massimizzando la qualità, grazie alla concorrenza tra i soggetti offerenti beni e servizi. L’amministrazione statale resterebbe snella e al contempo sarebbe garantita a tutti assistenza sociale a costi inferiori di quelli sostenuti oggi offrendo direttamente beni e servizi a chi ne ha bisogno.
L’idea di un reddito minimo garantito solamente alle categorie più in difficoltà come i disoccupati, invece, sarebbe in sé potenzialmente negativa, perché disincentiverebbe al lavoro, specie i lavoratori meno qualificati, i cui salari sono solitamente più bassi della media. Dunque, chi lo percepirebbe si ritroverebbe quasi volontariamente intrappolato nell’area della non occupazione e del disagio e rappresenterebbe un aggravio di costo, non un risparmio per la collettività.