Anche la Finlandia ipotizza reddito minimo al posto dei servizi
La Svizzera non è l’unico paese a dibattere su una simile misura. Si consideri che la Finlandia del premier conservatore Juha Sipila sperimenterà a partire dal prossimo anno l’introduzione di un reddito garantito per 10.000 di cittadini, ciascuno dei quali beneficerà per due anni di 550 euro al mese. Nell’idea dell’esecutivo di Helsinki, il reddito minimo dovrebbe sostituire i servizi pubblici e i piani di assistenza sociale.
In altri termini, lo stato assicurerebbe il welfare non con l’erogazione di servizi o di assegni assistenziali, bensì offrendo a tutti un reddito, in grado di consentire a ciascun cittadino di godere dell’assistenza di cui ha bisogno, ma scegliendosi individualmente i servizi a cui attingere. La proposta elvetica presenta, però, un punto debole: legando l’erogazione del reddito minimo a quello percepito autonomamente, di fatto disincentiva al lavoro. Se lo stato mi versa ogni mese sul conto 2.500 franchi anche se non lavoro, mentre se guadagno 2.000 franchi, per ipotesi, me ne eroga solo 500 (quelli necessari per arrivare a 2.500), perché mai dovrei lavorare? Il rischio è, quindi, che la misura diventi distorsiva, spingendo i
bassi salariati a non lavorare più, ma potenzialmente provocando una carenza di occupati a bassa qualifica, che si tradurrebbe nel tempo in un aumento dei prezzi per alcuni beni e servizi. Vero è che dai risultati di una ricerca effettuata da DemoScope parrebbe che solo il 10% degli intervistati prenderebbe in considerazione di lasciare il lavoro, il resto continuare a restare occupato. La metà trascorrerebbe più tempo in famiglia e un altro 40% si spenderebbe di più per il volontario. Queste ultime risposte, però, lascerebbero supporre che in un qualche modo l’integrazione al reddito porterebbe molti lavoratori ad optare per qualche ora in più di tempo libero a settimana.