Referendum costituzionale 4 dicembre: spiegati nel dettaglio i motivi del “SI” e del “NO”

Referendum costituzionale del 4 dicembre: cosa votare? Spiegato nel dettaglio cosa comporta votare “SI” e cosa comporta votare “NO”
8 anni fa
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Referendum costituzionale: i motivi del NO

Una riforma per adeguarsi a Bruxelles e alla governance economica europea

Al seguente indirizzo Le ragioni della riforma costituzionale presente sul sito del Governo, dunque si tratta di una relazione ufficiale potete controllare, si legge testualmente, nel primo paragrafo “Le ragioni della riforma”:
Lo spostamento del baricentro decisionale connesso alla forte accelerazione del processo di integrazione europea e, in particolare, l’esigenza di adeguare l’ordinamento interno alla recente evoluzione della governance economica europea (da cui sono discesi, tra l’altro, l’introduzione del Semestre europeo e la riforma del Patto di stabilità e crescita) e alle relative stringenti regole di bilancio (quali le nuove regole del debito e della spesa); le sfide derivanti dall’internazionalizzazione delle economie e dal mutato contesto della competizione globale…
Le ragioni della riforma sono dunque dichiarate dal Governo stesso, e sono l’integrazione europea, adeguarsi agli ordinamenti interni della governance economica, alle regole di bilancio di Bruxelles, alle sfide della internazionalizzazione delle economie.
Si tratta dunque di una riforma per cedere sempre di più alle ragioni dell’Europa, una Europa in cui il conta quello che decide la governance economica.

Il nuovo Senato

L’accusa che viene mossa al nuovo Senato riguarda le competenze che esso dovrebbe condividere con la Camera dei Deputati. Nella riforma sono specificati gli ambiti in cui le due Camere hanno potere legislativo concorrenziale, ma non vengono indicati i criteri con cui riconoscere le leggi che rientrano in queste fattispecie.

Sicuramente verranno sollevati numerosi dubbi di competenza con il rischio che le leggi debbano essere studiate caso per caso per capire se includono prerogative affidate al Senato. Questo rischia di rallentare di molto l’iter legislativo entrando in netto contrasto con la riforma. Uno dei motivi fondamentali del ‘NO’, dunque, è che non solo non si facilita il cammino delle leggi, ma che in più esso sarà ancora più farraginoso, con confilitti di competenze e caos generalizzato.

Le criticità riguardano anche le modalità di nomina. Vi sono forti perplessità sul fatto di aver ridotto troppo i poteri del Senato, rendendolo inutile come vero “raccordo” tra Stato e amministrazioni locali e viene denunciato il rischio di trasformare i senatori in “rappresentanti della maggioranza al potere nella singola regione”. Dunque, la legge di riforma costituzionale avrebbe una contraddizione interna: farebbe del Senato una Camera delle Regioni, ma, contestualmente, ridurrebbe di molto il potere stesso delle Regioni a favore dello Stato Centrale.Questo il motivo per cui si tratterebbe di una riforma non solo ‘dannosa’, ma essenzialmente ‘inutile’.

Una riforma in realtà politica, per un futuro dominato dal Pd

Questa riforma permetterà al Pd di ipotecare il Senato per almeno la prossima legislatura, probabilmente le prossime 2. Sappiamo bene quanto il Pd sia forte a livello locale, perchè partito tradizionale con una storia e dunque radici profonde nelle realtà locali e regionali. Basti dire che attualmente il Pd governa 17 regioni su 20, e le rimanenti 3 sono governate dal centro-destra.

Ebbene questa riforma sembra fatta apposta per escludere sostanzialmente dal Senato il M5S, dando invece al Pd la quasi metà dei Senatori. Appare quindi probabile che il Pd, d’accordo con una parte connivente del centro-destra, entrambi schieramenti tradizionali avversati dal M5S, abbia fatto una riforma che gli permetterebbe di dominare il Senato anche in caso di perdita delle elezioni nazionali. In pratica si sarebbero creati una via di controllo dell’intero Parlamento, anche in virtù del fatto che il Senato può rivotare le leggi e rimandarle modificate alla Camera.

Il rapporto tra politica e istituzioni: perché il tempo di approvazione non è connesso alla procedura legislativa

Un’altra questione, infatti, riguarda il rapporto tra politica e istituzioni: un processo legislativo può essere più o meno lungo a seconda del dibattito politico che suscita.

Una legge molto discussa, come è stata quella sulle unioni civili, ha impiegato mesi a completare il suo iter, ma nonm per una lentezza stritturale, ma perché era un tema molto sentito nel paese e, dunque, in Parlamento; altre leggi, meno ‘sentite’, sono state approvate in pochi giorni attraversando tutto l’iter parlamentare odierno. Cosa significa? Che la velocità o la lentezza nell’approvazione di una legge è dovuta maggiormente al confronto politico che non a questioni procedurali. In questo senso, si può dire tranquillamente, secondo i sostenitori del NO, che non vi sarà alcuna differenza sostanziale, ma, probabilmente, un peggioramento.

Una contraddizione della riforma: meno potere alle Regioni ma un Senato su base Regionale

Sempre per quanto riguarda il nuovo Senato c’è un’altra questione che viene criticata: di fatto, gli italiani non potranno più votare i senatori, il che rappresenta sempre e comunque una porzione di democrazia in meno. Tali rappresentanti che, come abbiamo visto, avranno comunque delle prerogative, non saranno scelti mediante una consultazione nazionale (come avviene per i deputati), il che non può che suscitare forti dubbi: laddove i cittadini perdono anche parzialmente il diritto di voto, si tratterebbe sempre e comunque di una ‘perdita’ di diritti democratici.

Una riforma che favorisce la casta? Il problema dell’immunità e della partitocrazia

C’è da sottolineare, inoltre, secondo i sostenitori del NO, la questione più cara a Travaglio, quella dell’immunità: gli amministratori locali che, qualora vincesse il ‘SI’, entreranno in Senato riceveranno anche l’immunità parlamentare. Secondo il noto giornalista, potrebbe diventare un salvacondotto utilizzato dai partiti per ‘salvare’ alcuni propri rappresentanti. Secondo una mappa pubblicata da Il Fatto Quotidiano, la quantità di amministratori locali ‘corrotti’ è enorme e riguarda soprattutto i maggiori partiti con in testa proprio il PD di Renzi che promuove la riforma.

Il sistema Italia – questa la posizione del ‘NO’ – già di per sé ‘favorisce’ la corruzione, ma questa riforma costituzionale darebbe la garanzia a molti amministratori locali di potersi comportare in tale maniera con la possibilità di essere difesi dallo scudo dell’immunità. La questione riguarda ovviamente la partitocrazia: quei partiti che hanno una forza maggiore sul territorio si assicurano il controllo del Senato, attraverso rappresentanti non eletti dai cittadini ma dagli stessi partiti (la legge elettorale non permette, infatti, di scegliere gli amministratori locali). Un caso clamoroso va sottolineato: negli USA, la Clinton ha perso le elezioni con Trump pur avendo preso 2 milioni di voti in più, proprio per il sistema elettorale di tipo ‘regionale’ basato sui risultati a livello del singolo Stato. Per i sostenitori del ‘NO’, dunque, questa riforma prenderebbe del sistema americano il dispositivo peggiore: controllare le regioni significherà controllare il Senato. Il Presidente del Consiglio, dunque, avrebbe maggiore potere anche in questo senso: dominerebbe alla Camera, avrebbe un Senato a propria disposizione e formato da uomini di ‘fiducia’ (e che devono l’immunità al premier di turno), oltre ovviamente il rinforzamento del potere esecutivo, per cui si può parlare di governo ‘autocratico’.

Governo “autocratico”

Il governo avrà la facoltà di richiedere al Parlamento un canale preferenziale per l’approvazione delle leggi ritenute necessarie per l’attuazione del proprio programma. La Camera avrà tempo 5 giorni per accogliere la richiesta e, se venisse accolta, 70 giorni per approvarla con massimo 15 giorni di rinvio.

Questa formula non potrà essere applicata alle leggi di competenza del Senato, alle leggi elettorali, alle ratifiche di trattati internazionali, alle leggi di amnistia e indulto e alle leggi di bilancio.

Dati i numeri garantiti alla maggioranza dalla legge elettorale attuale, secondo alcuni con questa formula vi è un forte sbilanciamento di potere a favore del Primo Ministro e del Governo che presiede, il quale può far velocemente approvare i propri disegni di legge senza un’adeguata discussione alla Camera.

Su questo punto, sono molto critici i sostenitori del ‘NO’: il concetto di democrazia si basa sull’equilibrio dei poteri; questa riforma, sbilanciando tutto verso l’esecutivo e penalizzando il legsilativo, farebbe venire meno le caratteristiche stesse della democrazia liberale. Si andrebbe, insomma, verso il sistema di un ‘uomo solo al comando’, il che rappresenta sempre e comunque, secondo i sostenitori del ‘NO’, un pericolo per la democrazia.

Riforma Titolo V e caos competenze

La riforma Titolo V è sicuramente uno degli aspetti più dibattuti e difficili da comprendere per chi non ha nozioni di diritto costituzionale. Vengono ridefinite diverse competenze prima esclusive delle Regione che, post-riforma, tornerebbero in mano allo Stato. In particolare:

  • viene cancellata la definizione di “competenza concorrente” fra Stato e Regione, con le diverse materie ridistribuite fra le due istituzioni;
  • viene introdotta la nuova “clausola di supremazia”, che permette allo Stato di intervenire sulle questioni di competenza non “esclusiva” delle Regioni nei casi in cui è necessario un intervento per l’unità giuridica/economica dello Stato, o di più generico “interesse nazionale”;
  • viene introdotto anche il cosiddetto “regionalismo differenziato”, grazie al quale alle Regioni non a Statuto Speciale possono essere attribuite particolari forme di autonomia, a condizione che presentino un bilancio in equilibrio. L’attribuzione del regionalismo differenziato dev’essere approvata da Camera e Senato ed è inoltre richiesto un dialogo tra Stato e Regione interessata. Il Referendum Costituzionale porterà dei cambiamenti anche per la Sanità;
  • in linea generale vi è quindi un forte accentramento di potere nelle mani dello Stato. Scenario decisamente opposto rispetto alla situazione attuale. In una lettera aperta al governo inviata lo scorso aprile, 56 costituzionalisti hanno anche evidenziato la possibilità che si verifichi un forte rischio di confusione legislativa: con questa revisione del Titolo V, la procedura legislativa andrà a complicarsi in quanto prevederà “leggi bicamerali, leggi monocamerali ma con possibilità di emendamenti da parte del Senato, differenziate a seconda che tali emendamenti possano essere respinti dalla Camera a maggioranza semplice o a maggioranza assoluta”. Un caos di leggi decisamente in controtendenza con le aspettative di semplificazione e velocizzazione degli iter legislativi.

Volontà politica: un voto di sfiducia al governo Renzi

Se al Referendum Costituzionale dovesse prevalere il NO potrebbe cadere il governo Renzi. È difficile prevedere come Renzi gestirebbe una potenziale vittoria del NO. Ma effettivamente se i cittadini non riconoscessero legittimo uno dei principali punti del programma di governo, i rappresentanti in Parlamento non potrebbero ignorare il significato politico del risultato. Si aprirebbe la possibilità di presentare una mozione di sfiducia al governo.

 Aggiornamento del 2 Dicembre: i motivi del No sono stati ottimamente sintetizzati con un video da Marco Travaglio, potete leggerne una introduzione al seguente link: Referendum 4 dicembre: i 10 motivi per il No di Marco Travaglio

Come si è divisa l’Italia tra SI e NO? Ecco chi voterà a favore e chi contro a pagina 2.

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