Il premier scozzese Nicola Sturgeon di lasciare la UE e restare nel Regno Unito non ci vuole nemmeno pensare. Lo ha detto sin dalle prime luci dell’alba del venerdì 24 giugno, quando i dati sul referendum per la Brexit apparivano chiari: Edimburgo chiederà un secondo referendum (dopo quello del settembre 2014) per l’indipendenza della Scozia, dato che il 68% degli elettori qui hanno votato per restare nella UE.
E per fare un dispetto all’ormai ex membro comunitario, il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha dichiarato l’altro ieri che la Scozia “si è guadagnata il diritto di essere ascoltata”.
Referendum indipendenza Scozia
A questa domanda si è cercato di rispondere già due anni fa, quando i sondaggi, sbagliando anche allora, davano i secessionisti avanti. E’ finito 55-45 in favore degli unionisti. In teoria, una Scozia indipendente potrebbe seguire te strade in ambito valutario. Esaminiamole brevemente:
1 – Si tiene la sterlina: continua ad utilizzare la moneta con su l’effige della Regine Elisabetta II, ma che risulterebbe evidentemente sopravvalutata rispetto ai suoi fondamentali, essendo l’economia scozzese più povera della media di quella britannica. Inoltre, non facendo più parte del Regno Unito, non avrebbe alcun diritto di rappresentanza presso la Bank of England, che adotterebbe, quindi, la sua politica monetaria, senza dover dare conto alle istanze di Edimburgo. Il rischio di questo scenario sarebbe simile a quello esploso negli ultimi anni nell’Eurozona, ovvero che un’economia relativamente più debole sia costretta a utilizzare una moneta forte, di fatto arretrando sul fronte delle esportazioni, perdendo competitività;