Lo spread BTp-Bund a 10 anni è salito in area 180-185 punti base, ai massimi da quando il governo Renzi è in carica. I rendimenti decennali dei titoli di stato italiani oscillano intorno al 2,10%, ma con puntate verso il 2,20%, segnando un divario di 50-55 bp con gli omologhi bond spagnoli, ai livelli più alti da da 5 anni. E’ il senso del sell-off di queste ultime settimane contro l’Italia, in vista del referendum costituzionale del 4 dicembre, che potrebbe segnare la fine dell’attuale esecutivo.
Qualche giorno fa, il Financial Times pubblicò un articolo, a firma del tedesco Wolfgang Muenchau, nel quale spiega che nel caso in cui vincesse il “no”, il nostro paese rischierebbe l’uscita dall’euro. Abbiamo già chiarito in articoli precedenti come questo automatismo sia del tutto fuori luogo e frutto della conoscenza superficiale che la stampa estera ha della politica italiana e dei suoi complicati meccanismi. (Leggi anche: Italia fuori dall’euro? Mercato sconta qualcosa di non molto dissimile)
Se vince il no, nessuna tempesta finanziaria
In un altro articolo, vi abbiamo anche dimostrato come il “no” potrebbe tradursi in un fattore positivo per i mercati, se ben gestito. Approfondiamo questo tema. Ciò che spaventa gli investitori è il famoso salto nel vuoto, che si rischia quando si chiude una stagione e si cerca di aprirne un’altra. Non vengono percepiti leader politici alternativi al premier Matteo Renzi di una qualche credibilità, per cui il timore è che la fine del governo attuale coincida con una fase di incertezze e di improvvisazione istituzionale, che potrebbe far precipitare una situazione economica e finanziaria già molto delicata, date la bassa crescita del pil e le banche italiane piene zeppe di crediti deteriorati.
Tuttavia, una vittoria del “no” potrebbe paradossalmente allontanare questi spauracchi, perché rimettendo mano alla legge elettorale, si potrebbe impedire a una formazione come il Movimento 5 Stelle, considerata euro-scettica, di arrivare al governo con solo il 30% dei consensi.