Un regime forfettario più accogliente grazie alle novità previste dalla legge di bilancio 2023 (comma 54). La manovra innalza da 65.000 euro a 85.000 euro il limite annuo di ricavi/compensi che la partita IVA non deve superare per essere in questo regime di favore.
Un regime che prevede, a differenza di quello ordinario, l’assoggettamento del reddito dell’attività ad un’imposta sostitutiva del 15% (o del 5% per i primi 5 anni se rispettati determinati requisiti). Un’aliquota d’imposta, dunque, molto più bassa di quelle ordinarie IRPEF previste per scaglioni di redditi.
Un’imposta sostitutiva che viene calcolata su un reddito imponibile determinato in maniera forfettaria. Ossia, applicando ai ricavi/compensi conseguiti nell’anno d’imposta, un coefficiente di redditività che varia a seconda del codice ATECO dell’attività esercitata.
Gli svantaggi di essere nel regime forfettario
Molti sono i vantaggi per la partita IVA che riesce ad agire nel regime forfettario, ma alcuni sono anche gli svantaggi.
Proprio con riferimento a questi ultimi si tratta di svantaggi legati al particolare tipo di tassazione a cui è soggetto il reddito dell’attività. Come detto, il reddito imponibile è calcolato in maniera forfettaria alla maniera esposta in premessa.
Ciò implica però che il contribuente non potrà portare in deduzione dal reddito i costi inerenti l’attività (utenze, macchinari, ecc.). L’unico costo deducibile riguarda i contributi previdenziali ed assistenziali assolti per legge.
Si intuisce, dunque, che si tratta di un regime che potrebbe non essere molto conveniente per quelle partite IVA che hanno elevati costi di gestione del poter portare in deduzione.
Altra nota negativa è che essendo il reddito soggetto ad imposta sostitutiva dell’IRPEF, il contribuente non potrà detrarre/dedurre gli oneri personali. Non potrà, quindi, godere sull’imposta sostitutiva della detrazione per coniuge a carico, della detrazione per interessi mutuo abitazione principale, ecc.
I vantaggi
Gli svantaggi dell’essere forfettario, tuttavia, sono ben compensati dai vantaggi in termini di adempimenti fiscali rispetto ad un regime ordinario.
Chi è nel forfettario emette fattura senza applicare l’IVA e senza mettere ritenuta d’acconto. È esonerato dalla dichiarazione IRAP e dagli ISA (indicatori sintetici di affidabilità). Non fa la dichiarazione IVA e non fa la liquidazione IVA periodica. Non deve registrare le fatture acquisto e vendita.
Attualmente si ha obbligo di emettere fattura in formato elettronico solo se emessa verso la pubblica amministrazione. Se trattasi di operazioni verso soggetti diversi dalla PA, l’obbligo di emettere fattura elettronica scatta solo per chi nel 2021 ha conseguito ricavi/compensi superiori a 25.000 euro.
In tutti gli altri casi è possibile emettere, quindi, fattura cartacea. Si consideri però che dal 1° gennaio 2024 la fattura elettronica dei forfettari sarà obbligatoria in tutti i casi.
C’è per loro obbligo, in ogni caso, di numerazione e di conservazione delle fatture di acquisto e delle bollette doganali, di certificazione dei corrispettivi e di conservazione dei relativi documenti. Inoltre, per le operazioni in cui risultano debitori IVA (reverse charge), devono integrare le fatture e versare l’imposta entro il 16 del mese successivo.