Il “day after” delle elezioni americane pesa sul mercato obbligazionario. Se questa mattina i rendimenti dei Treasuries restavano sostanzialmente invariati ai massimi da inizio luglio, per i Bund registrano un’esplosione sulla curva dei tassi, specialmente sul tratto lungo. Il decennale tedesco offre mentre scriviamo poco meno del 2,50%, livello massimo da luglio e in rialzo dello 0,09% sulla chiusura di ieri. C’entra l’effetto Trump, che ha innalzato le aspettative d’inflazione per via della politica fiscale americana prevista di maggiore sostegno alla crescita economica e, forse soprattutto, per la minaccia dei dazi contro le merci cinesi e finanche europee.
Crisi politica tedesca
Ma i rendimenti dei Bund stanno salendo anche per la crisi di governo in Germania apertasi nella giornata di ieri. Mentre negli Stati Uniti il presidente eletto festeggiava l’esito del voto, a Berlino si consumava l’esplosione della coalizione “semaforo”. Il cancelliere Olaf Scholz ha cacciato i ministri liberali dall’esecutivo, chiedendo il voto di sfiducia al Bundestag per il 15 gennaio. Poiché è numericamente certo che non lo otterrà, ci saranno elezioni anticipate al mese di marzo.
La crisi tedesca, che è anche economica, la paghiamo anche noi. Lo spread BTp-Bund a 10 anni sale oggi a 133 punti base, livello massimo da inizio ottobre. Il rendimento decennale italiano è esploso sopra il 3,80%, ai massimi dal luglio scorso. Analogo il trend per il resto dell’Eurozona. Gli Oat a 10 anni hanno superato il 3,25%. Tuttavia, nelle ultime sedute si registra un ampliamento dello spread tra BTp e bond francesi a circa 55 punti base. A fine ottobre era sceso tra 45 e 50 punti. Significa che il mercato sconta un maggiore rischio sovrano per il debito italiano.
Taglio tassi BCE resta
Il rialzo dei rendimenti dei Bund non sta coincidendo, però, con attese meno “dovish” per la politica monetaria nell’Eurozona. Anzi, la Banca Centrale Europea (BCE) taglierebbe i tassi di interesse dello 0,50% a dicembre.
Rendimenti Bund scontano rischio stagflazione
L’effetto Trump per l’Eurozona rischia di trasformarsi in stagflazione, ossia un combinato tra stagnazione economica (o recessione vera e propria) e aumento dell’inflazione. Per questo la BCE agirebbe in anticipo per sventare il pericolo, cioè prima che l’insediamento della nuova amministrazione porti ad una guerra dei dazi. Ma si tratterebbe di una prospettiva dal respiro corto, in quanto l’eventuale accelerazione dell’inflazione legherebbe le mani a Francoforte, impedendole di continuare a tagliare i tassi in futuro. E senza una politica fiscale comune, la reazione sarebbe affidata grosso modo ai singoli governi, i quali dispongono di margini di intervento per i conti pubblici assai differenti.
I rendimenti dei Bund salgono, quindi, per effetto del “Trump trade“. Al contempo, trascinano con sé gli altri bond, riguardando la paura l’intera unione monetaria e per la percezione di un maggiore rischio sovrano a carico degli stati con debiti elevati come Italia e Francia.