Dalla pubblicazione del Rendistato per il mese di giugno da parte della Banca d’Italia emerge una buona notizia: dopo sette mesi di rialzi consecutivi, i rendimenti italiani tornano in calo. Si è trattato di una variazione minima, ma pur sempre confortante. Lo scorso mese, in media il dato è stato del 3,817% contro il 3,896% di maggio.
Il Rendistato è un indice relativo ai rendimenti italiani medi vigenti sul mercato secondario lungo l’intera curva delle scadenze e ponderati in base al peso di ciascun titolo.
Ed è ancora più impressionante il raffronto con il dato di dicembre 2021, prima che il mercato iniziasse a scontare l’aumento dei tassi d’interesse a causa del boom dell’inflazione. In quel mese, i rendimenti italiani medi erano dello 0,551%. Rispetto ad allora, c’è stato in appena un anno e mezzo un’esplosione del 3,266%. Proviamo ad immaginare cosa ciò significhi in prospettiva.
Boom spesa per interessi
I rendimenti italiani non sono altro che il costo che lo stato deve sostenere per emettere titoli del debito pubblico. Attenzione, perché non coincidono esattamente con i costi di emissione. Diciamo, però, che alla lunga i due vanno a braccetto e certamente nella stessa direzione. Ebbene, ai costi attuali se dovessimo pagare tutto il debito pubblico secondo gli ultimi dati disponibili (2.811,6 miliardi di euro in aprile), avremmo una spesa per interessi annuale pari a più di 107 miliardi. Essa corrisponderebbe al 5,6% del PIL nel 2022.
Se, invece, avessimo continuato a pagare il debito pubblico ai rendimenti italiani vigenti a fine 2021, avremmo speso la media annuale di 15,5 miliardi di interessi. Dal raffronto emerge che alla lunga, cioè quando tutto il debito sarà arrivato a scadenza e andrà rinnovato, pagheremo un conto molto più salato di quanto avremmo immaginato sulla base dei numeri di un anno e mezzo fa: +92 miliardi.
Impatto rendimenti italiani sui conti pubblici
Dunque, i rendimenti italiani sono effettivamente esplosi, ma il danno che provocheranno ai conti pubblici nel lungo periodo sarà “solo” di circa 43 miliardi all’anno. In ogni caso, si tratta di un aggravio particolarmente preoccupante, anche perché nel frattempo il debito pubblico continuerà a salire e gli interessi insisteranno su uno stock ancora più alto. C’è una forte speranza, tuttavia. Quando la Banca Centrale Europea (BCE) prima o poi inizierà a tagliare i tassi, i rendimenti italiani scenderanno e con essi i costi di emissione. Il conto per lo noi contribuenti si sgonfierebbe, sebbene vi siano margini nulli per l’autocompiacimento. Serve arrestare la corsa del debito da un lato, sperare che i mercati ci premino e lo spread si restringa. Solo così la spesa per interessi inizierebbe a scendere prima ancora che la BCE taglierà i tassi.