La massa dei bond con rendimenti negativi sta letteralmente precipitando negli ultimi mesi. Se nel dicembre scorso, stando al Bloomberg Barclays Global Negative Yielding Debt Index, questa ammontava alla cifra record di 18.000 miliardi di dollari, adesso risulta implosa a 12.000 miliardi. Nel giro di cinque mesi, quindi, si è ridotta di ben 6.000 miliardi.
Un bond offre rendimenti negativi quando il prezzo per acquistarlo supera il tasso d’interesse corrisposto. In sostanza, alla scadenza si registrerebbe una minusvalenza superiore su base annua alla cedola.
La causa di questa sovversione è di tipo macroeconomica e monetaria. I tassi di crescita sono fortemente rallentati nell’ultimo decennio pre-Covid, portando all’inflazione zero, se non a tratti negativa. Per questo, gli obbligazionisti hanno iniziato gradualmente ad accontentarsi di rendimenti sempre più bassi. Le banche centrali ci hanno messo del loro: azzerando i tassi o portandoli sottozero, nonché acquistando bond sui mercati per iniettare liquidità, hanno alimentato la bolla dei prezzi per gli assets finanziari.
Fine dell’era dei rendimenti negativi?
La normalizzazione in itinere sul mercato obbligazionario infligge perdite agli attuali possessori. Il rialzo dei rendimenti implica un calo dei prezzi, tanto più vigoroso quanto più alta è la “duration” dei titoli posseduti. A farne le spese sono le obbligazioni a lunga scadenza, emesse in questi anni con basse cedole e finanche con rendimenti negativi sin dal loro debutto. Un esempio di questo tipo si ha con il Bund zero coupon a 30 anni. La Germania lo emise nell’agosto del 2019 a circa -0,11%. Oggi, offre più dello 0,40%. Segna -16% dall’inizio delle contrattazioni e quasi -24% dalle quotazioni record toccate nel dicembre scorso.
La riduzione dei bond con rendimenti negativi implica anche un aumento dei costi di rifinanziamento per governi e imprese. Tuttavia, si tratta di un trend positivo. Esso rispecchia il miglioramento delle aspettative macro, le quali si traducono in un “surriscaldamento” di quelle d’inflazione. E inevitabilmente ciò spingerebbe le banche centrali a tagliare gli stimoli monetari e ad alzare i tassi d’interesse.
Ma la fine dei rendimenti negativi non sembra vicina. Già dopo il boom del 2016, si assistette a un loro ripiegamento nel biennio successivo, salvo invertire il trend nel biennio seguente. Le banche centrali non si affretteranno a normalizzare le loro politiche monetarie, dovendo fare attenzione a non scatenare tensioni finanziarie ai danni di stati ed economie. D’altra parte, i “safe assets” restano appetibili in un mondo caratterizzato da livelli di indebitamento sempre più alti. La Germania emette tipicamente poco debito ogni anno, grazie alla sua politica fiscale robusta, con avanzi di bilancio strutturali sin dal 2014. Non siamo alla fine di un’era, ma certamente a una parziale correzione.