I contribuenti non lo sanno, ma le imposte che pesano sugli investimenti e sui guadagni di borsa (le così dette rendite finanziarie) valgono ben 13 miliardi di euro ogni anno. La metà di Imu e Tasi messi insieme. Ma mentre le prime non vengono criticate passando inosservate agli occhi dell’opinione pubblica, le seconde sono sempre nel mirino delle critiche di giornali e televisioni. Insomma, la casa è sacra, gli investimenti no.
Non solo, la patrimoniale ricorrente su titoli di stato, obbligazioni, azioni, ETF e fondi comuni di investimento, è estremamente iniqua e penalizzante per i risparmiatori che spesso sognano di portare tutto all’estero nella speranza di evitare la tagliola fiscale.
Le rendite finanziarie
Ma andiamo con ordine. In Italia le imposte che gravano sulla finanza sono svariate e tutte inique. Cedole e dividendi sono tassati in maniera diversa. I rendimenti sui titoli di stato (cedole) subiscono un’imposizione alla fonte del 12,50%, mentre sulle obbligazioni bancarie e corporate del 26%. Più del doppio e senza tenere minimamente in considerazione il fattore rischio. Lo stesso dicasi per i dividendi delle società quotate a Piazza Affari che vengono taglieggiati al 26% direttamente alla fonte. In tutti questi casi, poi, non è possibile compensare debiti con crediti. In altre parole le perdite finanziarie accumulate non possono essere compensate con cedole o dividendi, per cui le rendite finanziarie sono sempre e comunque colpite dal fisco. In alcuni Paesi Ue le rendite vengono colpite solo sopra certe soglie di reddito e, in alcuni casi, è possibile compensare crediti con debiti. In Italia, invece, no … è tutto tassato direttamente alla fonte.
Il capital gain
E veniamo al capital gain.
La Tobin Tax
C’è poi la Tobin Tax. L’imposta colpisce le transazioni di borsa e riguarda azioni Futures, Opzioni, CFD, warrants, covered warrants e certificates. L’imposta viene applicata dall’intermediario finanziario che agisce come sostituto di imposta ed è pari a 0,10% del saldo netto delle transazioni giornaliere. In pratica, se si acquistano in borsa azioni ENI per un controvalore di 1.000 euro e si lasciando in deposito titoli, la banca applicherà un’imposta di 1 euro che successivamente verserà all’Erario. Ciò non avviene se il titolo viene venduto nell’arco della giornata e non viene mantenuto in deposito. Detta imposta non colpisce le società quotate con capitalizzazione inferiore a 500 milioni di euro e quelle che vengono negoziate su mercati al di fuori dell’Italia, La tobin Tax vale mediamente 900 milioni all’anno e, oltre ad aver avuto il merito di allontanare gli investitori da Piazza Affari, ha anche prodotto un gettito di due terzi inferiore alle previsioni.
L’iniquità fiscale in Italia
In definitiva, a parte il groviglio fiscale che permane sulle attività finanziarie per il quale non è ancora stata apportata adeguata semplificazione dal legislatore, il problema principale riguarda la mancata possibilità di compensare le diverse imposte che gravano sulle rendite finanziarie. Le minus accumulate non possono essere infatti recuperate, ad esempio, con le imposte che gravano sulle cedole dei titoli di stato o con quelle della Tobin Tax. In pratica il risparmiatore viene colpito e vessato in Italia come in nessun altro Paese della Ue, benchè mediamente la pressione fiscale tricolore sulla finanza si collochi mediamente a livelli intermedi in Europa. Serve quindi una profonda riforma che metta ordine a tutto quanto e semplifichi la vita del risparmiatore e dell’investitore non professionale. Anche per attrarre maggiori investimenti nel nostro Paese.