Matteo Renzi e Carlo Calenda non si sono mai amati. Eppure il primo volle il secondo come ministro per lo Sviluppo all’epoca in cui fu premier tra il febbraio del 2014 e il dicembre del 2016. Il secondo mantenne la carica fino al maggio del 2018 e di lui la stampa lodarono le doti di uomo competente e potenziale leader di un centro-sinistra pro-business. In un certo senso, gli stessi che avevano elogiato il fiorentino, si ritrovarono a rimpiazzarlo con l’ex dirigente d’impresa romano.
Perso un terzo dei voti per strada
Fatto sta che, pur detestandosi persino pubblicamente, Renzi e Calenda si ritrovarono a correre insieme alle elezioni politiche del 2022. Separatamente, temevano di non riuscire a superare lo sbarramento del 4%. Ottennero il 7,73%, che non fu proprio un exploit, ma bastò a consentire agli ex piddini di restare in Parlamento. I due galli nel pollaio si erano prefissi di diventare il centro di gravità permanente del mondo dell’impresa. Insomma, tra una destra “populista” e una sinistra attratta dal richiamo della giungla – pensarono – gli elettori moderati avrebbero puntato sul Terzo Polo, tanto più che Forza Italia non fosse già da tempo quella degli anni d’oro.
Domenica sera, a seggi chiusi scopriamo che Renzi e Calenda non superano lo sbarramento del 4%. Forza Italia quasi sfiora il 10%, invece, pur priva del suo leader fondatore da un anno. I due non hanno corso insieme, perché nel novembre scorso si sono separati. Non un fulmine a ciel sereno. Nessuno avrebbe scommesso un euro sul loro matrimonio. Persino i bond venezuelani risulterebbero più sicuri. E così, l’ex premier si è unito alla lista +Europa di Emma Bonino per dare vita a Stati Uniti d’Europa.
Paradosso ex Terzo Polo: più votato al Sud
Renzi e Calenda colpiti dall’alto astensionismo, titolano i giornali. Ma se fosse così, evidentemente non hanno rappresentato quelle idealità tali che smuovono gli elettori in tornate come le europee. E il paradosso sta nei numeri. Coloro che avrebbero voluto rappresentare i ceti produttivi, a conti fatti hanno fatto malissimo proprio al Nord. Addirittura, Stati Uniti d’Europa ottiene il suo migliore risultato al Sud, dove sfiora il 5%. Al Nord Ovest si ferma al 3,76% e al Nord Est al 3,05%.
Azione ha fatto relativamente meglio al Nord, ma con punte di appena il 3,79% nel Nord Ovest. Insomma, niente di apprezzabile. Qual è stata la causa del flop? Al di là della scarsa credibilità di leader che si uniscono e dividono “ad acta”, la sostanza è che il ceto produttivo in Italia ha scelto il centro-destra. Ed è così da decenni, mentre c’è una minoranza di tecnocrati e politologi che continua ad intestardirsi nella ricerca di spazi elettorali inesistenti, tra l’altro confondendo lucciole per lanterne. Renzi e Calenda occupano quel centro, che storicamente in Italia non è mai stata un’area pro-business, bensì interclassista e tendenzialmente concertativa. La vecchia Dc del debito pubblico, senza girarci troppo intorno.
Renzi e Calenda traditi da percezione di sé
Non è un caso che il principale risultato le due liste sommate lo abbiano ottenuto al Sud alle europee. E’ quella parte d’Italia in cui il centro clientelare (non stiamo sostenendo che lo siano i due partiti suddetti) è stato sempre più forte e che, però, mal sopporta di rintanarsi a sinistra. Alle politiche di due anni fa, effettivamente i maggiori consensi Renzi e Calenda li ebbero al Nord.