Retribuzione da restituire in parte o inferiore a quella dichiarata in busta paga configura u il reato di estorsione. A stabilirlo la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31535 del 3 agosto scorso.
Retribuzione da restituire in parte? E’ estorsione
Importante sentenza della Suprema Corte di Cassazione la quale stabilisce che la condotta del datore di lavoro tesa a costringere i suoi lavoratori dipendenti, sotto minaccia di mancata assunzione o di licenziamento, a restituire una parte delle somme ricevute a titolo di retribuzione o comunque ad accettare somme inferiori a quelle figuranti sulle buste paga, integra il reato di estorsione.
La sentenza della Cassazione
A nulla è valsa la tesi difensiva del datore di lavoro secondo cui i lavoratori avevano dato il loro espresso consenso a restituire parte della retribuzione percepita, per mantenere il posto di lavoro e evitare licenziamenti, considerando il momento di difficoltà dell’azienda. Cosa che potrebbe anche essere lodevole, senonchè nel caso di specie, in verità gli stessi lavoratori avevano rilasciato dichiarazioni da cui non emergeva il consenso ad inique condizioni contrattuali le quali, al contrario, erano state accettate, perché gli stessi versavano in situazioni di bisogno e si erano adeguati alle condizioni offerte dal datore di lavoro, anche nel corso del rapporto di lavoro, per timore di perdere il posto.
Gli Ermellini hanno così deciso: c’è il reato di estorsione, se il datore di lavoro, in presenza di una legittima aspettativa di assunzione, costringe l’aspirante lavoratore ad accettare condizioni di lavoro contrarie alla legge e ai contratti collettivi e allo stesso tempo, sussiste il medesimo reato se, sempre sotto minaccia, viene imposto al lavoratore di restituira una parte della retribuzione ricevuta.