Si tiene oggi il terzo board della BCE e governatori centrali e consiglieri esecutivi avranno di che discutere sulla possibile uscita graduale dagli stimoli monetari e la tempistica per un primo rialzo dei tassi. No, la stretta non è vicina e sarebbe davvero impensabile che lo fosse. Tuttavia, l’inflazione nell’Eurozona è salita all’1,3% a marzo. Stava a -0,3% nel mese di dicembre. A questi ritmi, da qua in estate il target “vicino, ma di poco inferiore al 2%” sarebbe più che centrato.
Forse, ancora più preoccupante è la grande eterogeneità nei tassi di crescita dei prezzi al consumo. Si va dal -1,6% della Grecia al +2% del Lussemburgo. E la Germania, prima economia dell’area, esibisce già un +1,7%, oltre il doppio dell’Italia. Dunque, il rialzo dei tassi non sarebbe vicino, ma già inizia ad essere preteso da parte del board che rappresenta le economie più a rischio di instabilità dei prezzi. Si tratta della parte dell’unione monetaria con maggiori capacità di ripresa e che partiva da condizioni più solide prima della pandemia.
L’uscita dall’accomodamento monetario diverrà probabilmente oggetto serio di discussione al board BCE negli ultimi mesi dell’anno. Allora, si dovranno fornire ai mercati indicazioni certe circa la fine del PEPP, ad oggi fissata per il 31 marzo 2022. Ma già oggi la discussione sarà avviata almeno sui possibili tempi di un cambio di policy. Chiariamo una cosa: il rialzo dei tassi non arriverebbe dopo il primo mese con inflazione al 2%. Serve ancorare stabilmente le aspettative d’inflazione e, soprattutto, l’istituto tollererà che questa salga per un certo periodo sopra il target e verosimilmente non oltre il 3%. Solo successivamente comunicherebbe l’intenzione di procedere a un primo rialzo dei tassi d’interesse.
Rialzo dei tassi lontano, ma oggetto di discussione
Detto questo, attendere passivamente gli eventi rischia di risultare controproducente.
Per fortuna, i prezzi delle materie prime stanno almeno evitando di accelerare ulteriormente dopo il boom dei primi mesi dell’anno. Un barile di Brent costa sui 65 dollari, circa il 30% in più da inizio anno. A giocare un brutto scherzo alla BCE è, invece, la solita assenza di una politica fiscale coerente. I governi dell’Eurozona stanno facendo deficit per reagire alla crisi, ma manca una risposta comune della Commissione UE. Il Recovery Fund è stato sospeso dalla Corte Costituzione tedesca e deve ancora essere ratificato da una decina di governi. Senza, la fiducia del mercato verso la sostenibilità dei debiti nel Sud Europa verrebbe meno e paesi come Italia, Spagna, Portogallo e Grecia avrebbero molte più difficoltà a ricorrere all’indebitamento sui mercati.
Dunque, un rialzo dei tassi non potrà avvenire fino a quando la BCE non avrà toccato con mano le erogazioni sovranazionali a favore degli stati membri. Il ricordo del 2011 è ancora vivido. A crisi dello spread avviata, l’allora governatore Jean-Claude Trichet varò la prima stretta dopo la crisi finanziaria e amplificò il disastro sui mercati sovrani, che già stava attecchendo nel Sud Europa.