L’inflazione negli USA, così come in Europa, sta impennandosi. E ieri, Wall Street ha reagito male a questo surriscaldamento atteso dei prezzi al consumo. Se l’indice S&P 500 ha chiuso a -1%, il comparto tecnologico del NASDAQ ha segnato un crollo giornaliero del 3,5%. Preoccupa la prospettiva di un rialzo dei tassi non così lontano come crediamo. Il governatore della Federal Reserve di Chicago, Charles Evans, ha cercato di gettare acqua sul fuoco, spiegando che prima di una svolta monetaria serve che occupazione e inflazione crescano.
Sarà, ma il “breakeven” a 5 anni per i Treasuries è salito al 2,71%, il livello più alto dal 2008. Parliamo della differenza tra il rendimento quinquennale del bond con cedola fissa e il rendimento quinquennale del bond con cedola legata all’inflazione (TIPS). Andamento analogo per il “breakeven” a 10 anni, salito al 2,54%, ai livelli maggiori da 8 anni. Fino a quali livelli potranno spingersi fino a quando la FED interverrà con un primo rialzo dei tassi? In fondo, tali numeri denotano le aspettative d’inflazione del mercato per il medio-lungo e lungo periodo.
Rialzo dei tassi in vista
Secondo gli analisti, la soglia di allarme sarebbe del 3%. Nel momento in cui il “breakeven” a 5 anni la superasse, inseguita da quello a 10 anni, la comunicazione dell’istituto inizierebbe a mutare. Non sarebbe un evento minore. Ad oggi, il governatore Jerome Powell fa intendere che non vi sarà alcun rialzo dei tassi fino al 2023. Una stretta molto prima del previsto non rischia di strozzare la ripresa della prima economia mondiale?
La FED ha alle spalle due ricordi recenti di segno opposto. Dopo la recessione del 2000-’01, l’allora governatore Alan Greenspan tentennò a varare la stretta e il risultato fu il disastro della crisi finanziaria globale del 2008. Ma solamente tre anni fa, dopo avere avviato il rialzo dei tassi e cercato di ridurre il bilancio, la reazione di Wall Street fu così furiosa, che Powell dovette fare inversione a U in poche settimane.
Bisogna capire una cosa. Sebbene l’inflazione a marzo negli USA fosse già al 2,6%, nettamente sopra il target del 2%, ciò sarebbe sia un fenomeno temporaneo, dettato dall’allentamento delle restrizioni anti-Covid, sia voluto dalla stessa FED. Essa tollererà livelli d’inflazione superiori al 2% per un certo periodo, sebbene per l’appunto non dovrebbe spingersi ad accettare la violazione duratura della soglia del 3%.
Come investire con il “reflation trade”
Ad ogni modo, serve prepararsi alla reflazione. Come investire sui mercati in un simile scenario? Qualche indizio ce lo suggerisce proprio la borsa americana nelle ultime settimane. Il comparto tecnologico ha ripiegato del 9% nelle ultime due settimane. Non è un dato casuale. I settori legati alla crescita tendono a reagire negativamente al rialzo dei tassi, mentre non è così per le banche. Queste ultime a Wall Street si sono apprezzate mediamente di ben il 35% quest’anno. In un ambiente di interessi più alti, potranno migliorare i margini.
Allo stesso tempo, un settore tendenzialmente pro-ciclico come quello dei trasporti ha segnato una crescita di oltre il 27% nelle ultime due settimane. Qui, però, rileva l’allentamento delle restrizioni anti-Covid dopo oltre un anno di fortissime limitazioni alla libertà di movimento. Naturale che le compagnie aeree si riprendano. Ma, in generale, il rialzo dei tassi non farebbe bene né ai loro bilanci, oberati dai debiti contratti per reagire alla pandemia. Ancora più valido il ragionamento per le utilities, tipicamente più indebitate della media e che subirebbero il contraccolpo dell’aumento del costo del denaro.