Salvo sorprese, il 14 settembre riaprono le scuole. Almeno, questa è la data chiave fissata dal ministro dell’Istruzione, Lucia Azzolina, sebbene le regioni si regoleranno ciascuna per conto proprio, con quelle meridionali orientate a partire dopo, come ogni anno. Comunque sia, in pochi giorni l’Italia compirà un grosso passo verso il ritorno all’apparente normalità, dato che i numeri in gioco sono di quelli da far riflettere e impensierire coloro che non credono che l’emergenza sanitaria sia effettivamente cessata.
Considerando anche i genitori, facile prevedere come la riapertura delle scuole mobiliterà almeno un quinto dell’intera popolazione. Sarà un banco di prova per capire se i numeri del Covid, pur in ripresa nelle ultime settimane, si siano ridotti dopo il picco di marzo/aprile solo per la minore mobilità delle famiglie.
Il problema dell’Italia è che siamo stati i primi a chiudere le scuole, gli ultimi a riaprirle e gli unici ad essercene occupati poco e in fondo alla lista delle priorità. Se a meno di un paio di settimane non si conoscono bene i dettagli della ripartenza, qualcosa vorrà pur dire. Il ministro sarà non al massimo della competenza, ma su un tema così importante è la credibilità dell’intero governo a finire in gioco. I banchi a rotelle sono un obbrobrio concepito da tecnici alieni dal mondo scolastico. Per giunta, approvato da un ministro che proviene da una regione – la Sicilia – dove ragioni antisismiche portano a sconfessarne l’uso, non costituendo alcun riparo per il caso malaugurato di terremoto.
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Ripresa accidentata
E, poi, la decisione sconclusionata di fissare la data per le elezioni amministrative e per il referendum costituzionale a una settimana di distanza dalla riapertura orientativa nazionale.
E se basta che un alunno/studente risulti positivo al Covid per arrivare finanche a richiudere l’intero edificio, non sarebbe come ammettere che la riapertura delle scuole sia semplicemente una farsa? Crediamo che in questa o quella scuola non vi sarà mai un positivo per mesi e mesi? Il problema è duplice: le lezioni online vanno anche bene per i ragazzi delle scuole superiori e delle università, molto meno per gli alunni delle elementari e delle medie. I primi devono imparare a scrivere, a leggere, hanno bisogno della vicinanza e della sorveglianza “fisica” dell’insegnante per apprendere come stare in aula. Mesi e mesi di didattica a distanza rischiano di lasciare una generazione in balia di un apprendimento precario.
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Tra lavoro e abusi
Inoltre, riaprire le scuole consente ai genitori di organizzarsi con il lavoro. Non tutti possono beneficiare dello “smart working” e non a tutti è stato concesso di usufruirne fino ad oggi. Come fa un genitore ad andare al lavoro, se a casa ha uno o più figli in tenera età che tengono le lezioni online? Da qui, la necessità di parole decise sulla scuola, che ad oggi non sono arrivate.
E molti insegnanti già stanno presentando certificato alla scuola per essere esentati dal lavorare in classe e poter continuare a tenere le lezioni a distanza. Parliamo di immunodepressi o di gente che ha familiari a rischio. Per carità, non bisogna generalizzare o scatenare una caccia alle streghe, ma l’ipotesi che più di uno se ne approfitti con la complicità del sindacato c’è e fa rabbrividire quanti in questi mesi hanno compiuto sforzi enormi, tra cui nella stessa scuola, per gestire al meglio la fase straordinaria che stiamo vivendo. Il governo avrà il coraggio di mostrare il pugno duro contro gli abusi? C’è il rischio di un grande caos, che farebbe precipitare l’Italia in un disastro socio-economico dalle conseguenze politiche ed economiche molto severe.