Ricatto di Stellantis (ex Fiat) all’Italia con copertura a sinistra: soldi pubblici o chiusura degli stabilimenti

Stellantis riduce la sua presenza in Italia e usa la minaccia per ottenere nuovi aiuti di stato. Governo disilluso cerca alternative.
10 mesi fa
3 minuti di lettura
Stellantis e ricatto all'Italia per ottenere soldi pubblici
Stellantis e ricatto all'Italia per ottenere soldi pubblici © Licenza Creative Commons

Cassa integrazione per 2.260 lavoratori delle Carrozzerie Stellantis a Torino per tre settimane, a partire dal 12 febbraio. L’azienda l’ha comunicata una settimana fa ai sindacati nel corso di un incontro per “adeguare la produzione al transitorio mutamento della domanda di mercato”. Nei fatti, il primo di diversi segnali espliciti circa la volontà della famiglia Elkann di disimpegnarsi dall’Italia per spostare la produzione in Francia e altri paesi europei, e non solo. Nel triennio 2024-2026, l’ex Fiat produrrà 24 nuovi modelli in Francia contro 13 in Italia.

E il confronto tra gli investimenti nella transizione energetica realizzati presso gli stabilimenti d’Oltralpe e nel nostro Paese non regge: fiumi di miliardi contro spiccioli, tra l’altro perlopiù solo promessi e ancora non realizzati.

Fuga di Stellantis dall’Italia

Stellantis ha prodotto 521.104 autovetture in Italia nel 2023, mentre il dato comprensivo dei veicoli commerciali leggeri sale a 751.384. L’obiettivo formalmente resta di tendere a 1 milione di veicoli, ma in pochi credono alle parole di John Elkann, anche perché chi comanda realmente è il CEO Carlos Tavares, il quale sembra tutt’altro che intenzionato a puntare sullo Stivale. Il manager spagnolo invoca una tregua dei prezzi per le auto elettriche, percependo il rischio di un loro collasso prima ancora che i costi di produzione scendano. Il messaggio in codice inviato al governo italiano sarebbe il seguente: o riceviamo aiuti di stato o saremo costretti a chiudere gli stabilimenti ancora presenti in Italia.

La fuga di Stellantis dal nostro Paese è tutt’altro che recente. Il picco di produzione si ebbe agli inizi degli anni Novanta, quando arrivò a sfornare oltre 1,3 milioni di vetture. In quel periodo, però, il nostro mercato registrava 2,3 milioni di immatricolazioni all’anno. In buona sostanza, l’allora Fiat produceva in patria più di un’auto su due di cui aveva bisogno il mercato domestico.

L’anno scorso, la distanza in valore assoluto rimaneva di 1 milione di auto, ma la produzione di Stellantis incideva per meno di un terzo delle 1,566 milioni di immatricolazioni.

Cercasi secondo costruttore

E’ per questo che il ministro per il Made in Italy, Adolfo Urso, ha fiutato l’ennesima presa in giro di una società che continua a definirsi italiana solo quando c’è da ricevere aiuti di stato. Gli ultimi sono stati in forma di garanzia pubblica sui prestiti a tasso agevolato durante la pandemia per 6,3 miliardi di euro, grazie ai quali la società poté distribuire un maxi-dividendo ai soci per 3,9 miliardi. Ed ecco che Urso ha annunciato che il governo Meloni intende cercare un secondo costruttore per aumentare la produzione nazionale di auto a 1,4 milioni di vetture all’anno.

L’obiettivo è ambizioso, anche troppo. Se Stellantis si ritira, non si vede in lontananza alcuna alternativa immediata. E il distacco crescente tra quella che fu Fiat e gli automobilisti italiani si è materializzato nel mese di dicembre con il sorpasso storico di vendite a marchio Volkswagen: 10.752 contro 10.523. Non era mai accaduto sin dall’inizio delle rilevazioni nel 1928. Anche se Stellantis mantiene il primato di vendite in Italia per tutto il 2023 (174.580 contro 122.794), le distanze si stanno accorciando.

Elkann coperti a sinistra

Il caso Stellantis s’inserisce nel complesso tema della crisi industriale italiana, che va avanti da trenta anni senza soluzione di continuità. Tante le cause di questa tendenza negativa, ma la peculiarità qui sta nel fatto che la politica e gli ambienti sindacali si mostrino deboli, se non proni ai desideri di una famiglia del capitalismo mordi e fuggi. E c’è una ragione se l’addio all’Italia stia avvenendo indisturbato da molti anni: gli Elkann si sono costruiti una difesa mediatica contro le critiche con il Gruppo Gedi, che edita tra l’altro giornali come Repubblica La Stampa.

Grazie a questo stratagemma, Stellantis gode di una copertura mediatica e politica a sinistra, dove non esiste nessuno capace o desideroso di mettere in dubbio i piani aziendali degli Elkann. E i sindacati, il cui tasso di politicizzazione è stato sempre estremo nel nostro Paese, preferiscono assistere passivamente allo smantellamento degli stabilimenti residuali, anziché contrastare il principale editore avversario del centro-destra al governo.

Stellantis a caccia di aiuti di stato

La maggioranza d’altra parte non sta alzando a sua volta la voce. Fa comodo anche all’esecutivo godere di una stampa di sinistra non eccessivamente agguerrita, magari trattando con gli Elkann sugli aiuti di stato. Ed ecco che qualche settimana fa usciva la notizia che il ministro Urso avesse varato maxi-incentivi per l’acquisto di auto elettriche fino a 14.000 euro con rottamazione di vecchi modelli e Isee basso. Uno dei criteri del pacchetto sarebbe non a caso la preferenza per le produzioni nazionali, cioè a marchio Stellantis. Il punto è che hai voglia di stanziare denaro a favore di una società che continua a delocalizzare all’estero e ad investire massicciamente sul futuro in Francia.

Nei mesi scorsi, il governo italiano aveva fatto trapelare l’indiscrezione per la quale avrebbe finanche ipotizzato di entrare nel capitale Stellantis con una quota di minoranza, esattamente come l’omologo francese, retaggio del suo ingresso in Peugeot. La cosa non fece affatto piacere agli Elkann, i quali scatenarono una campagna di stampa aggressiva contro la maggioranza di centro-destra. E anche l’Eliseo reagì con dichiarazioni sgarbate e ostili a Roma su altri fronti. Il “divide et impera” è stata ad oggi la mossa vincente degli Elkann per smantellare ciò che rimane di Stellantis in Italia senza fare rumore e ottenere copertura politico-sindacale alla loro fuga.

[email protected] 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
Il suo motto è “Il lettore al centro grazie a una corretta informazione”; ogni suo articolo si pone la finalità di accrescerne le informazioni, affinché possa farsi un'idea dell'argomento trattato in piena autonomia.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

maternità
Articolo precedente

Al lavoro dopo la maternità: ecco cosa non possono chiederti!

Obbligazioni Barclays a 15 anni con cedola cumulabile
Articolo seguente

Bond Barclays con cedola fissa 10% per 2 anni, dopo diventa una scommessa sulla curva dei T-bond