Gli italiani sono notoriamente un popolo di risparmiatori e questa è senz’altro un’ottima notizia per la nostra economia. Il rovescio della medaglia consiste nella scarsa capacità dimostrata nel mettere a frutto l’enorme ricchezza finanziaria accumulata nel corso dei decenni. In sostanza, siamo molto abili nel barcamenarci anche nei periodi di ristrettezze economiche, a differenza di quanto spesso capita in molti stati cosiddetti “virtuosi”. Tuttavia, impieghiamo male il frutto dei nostri sacrifici, con la conseguenza che ci troviamo costretti a farne di più di quanto dovremmo per ottenere un dato risultato, quale potrebbe essere la serenità finanziaria familiare.
I dati della Banca d’Italia ne sono una conferma. Nell’anno 2002, la ricchezza finanziaria complessiva ammontava a 2.471 miliardi di euro, 1,83 volte il PIL. A fine 2020, risultava salita a 4.777 miliardi, quasi 2,9 volte il PIL. Un miglioramento evidente sia in valore assoluto che in relazione all’andamento della nostra economia. Di questa, la quota investita in azioni è rimasta sostanzialmente stabile al 20% dal 19% di 18 anni prima. Il suo valore è cresciuto del 96%, passando da 477 a 936 miliardi.
Il balzo è stato apparentemente notevole, ma non quanto pensiamo. La crescita media annuale si è attestata al 3,8%, ma pensate che nello stesso arco di tempo le principali borse mondiali sono cresciute a un ritmo medio del 7%. Tanto per rendervi l’idea, l’S&P 500 ha segnato un rialzo del 430%, il Dax 30 di Francoforte del 460%, il Cac 40 di Parigi del 140%, l’FTSE 100 di Londra il +90%, mentre Piazza Affari ha arrancato con un pallido +63%. Sui mercati emergenti i guadagni sono stati, invece, di quasi il 200% negli ultimi 15 anni.
Ricchezza finanziaria e criticità
Dunque, la crescita del portafoglio azionario degli italiani non ha seguito la performance dei mercati principali. Questo significa che essa sarebbe il frutto non tanto di impieghi ben riusciti, quanto semmai di investimenti costanti in questo comparto. Se avessimo investito bene, nel 2020 il valore di tale portafoglio sarebbe stato nell’ordine degli oltre 1.600 miliardi, circa 660 in più di quelli effettivamente registrati.
A cosa sarà stata dovuta questa sotto-performance? In primis, alla probabile concentrazione degli investimenti azionari sull’Italia, dove Piazza Affari resta ancora oggi del 25% inferiore ai valore di fine 2007. Ma la spiegazione sarebbe ancora più sottile: le famiglie italiane tentano il “fai da te”, investendo sulle singole azioni, anziché affidarsi ai professionisti del settore, i quali convoglierebbero gran parte dei risparmi sui fondi d’investimento. Questi hanno segnato un rialzo del 71% a 696 miliardi, ma la relativa quota sul totale della ricchezza finanziaria è scesa dal 16% al 14%.
Perché i fondi d’investimento sarebbero preferibili alle azioni, specie quando si possiede poca liquidità? Essi frazionano e diversificano gli investimenti tra i vari mercati e comparti produttivi, abbassando notevolmente il rischio e accrescendo i risultati. Se, invece, punto su un ristretto numero di azioni, rischio di subire perdite anche pesanti nel caso in cui uno o più titoli prescelti andassero male. Spesso, ci si limita a guadagnare meno dell’andamento generale del mercato. Solo raramente si riesce con questa strategia a fare meglio, perlopiù grazie alla fortuna.
Famiglie sempre più liquide
Ad essere cresciuti notevolmente, invece, sono gli impieghi della ricchezza finanziaria in assicurazioni, fondi pensioni e TFR: +226% a 1.191 miliardi. La quota è salita dal 15% al 25%. Il boom sarebbe legato sia alla maggiore sensibilità degli italiani sul tema della previdenza integrativa, sia alla capacità dei fondi pensione di generare rendimenti elevati a favore degli iscritti. Ed è la dimostrazione che se avessimo fatto lo stesso anche con il mercato azionario, oggi saremmo nettamente più ricchi come popolo. Probabilmente, molti di noi in banca disporremmo di cifre più rilevanti con cui fronteggiare le difficoltà quotidiane.
Invece, in banca abbiamo molto denaro infruttifero, esploso dall’11% al 29% della ricchezza finanziaria complessiva. In pratica, siamo diventati molto meno propensi al rischio e preferiamo restare liquidi. Da dove è provenuta tale liquidità? Tre i crolli più evidenti: il denaro contante (da 16% a 4%), altre obbligazioni (da 14% a 2%) e titoli di stato (da 8% a 3%). In valori assoluti, queste tre voci sono scese di 219, 239 e 59 miliardi rispettivamente, contribuendo idealmente al 47% della crescita dei depositi bancari.