Il 2023 sta per arrivare alla fine e sta per entrare l’anno 2024. Con l’addio al 2023, si conoscono già le nuove misure pensionistiche che il governo ha deciso di varare con la sua legge di Bilancio. Nessuna riforma delle pensioni per il 2024 nonostante se ne sia parlato per un anno intero. Il 2024 però, oltre alle novità appena introdotte nel sistema pensionistico che portano alcuni evidenti inasprimenti, dovrebbe essere l’anno in cui gettare le basi per la tanto agognata riforma del sistema previdenziale.
Oggi in risposta ai tanti lettori che si dicono delusi dell’operato del governo, e in risposta a quanti ci chiedono informazioni sugli scenari futuri della previdenza sociale italiana, facciamo un quadro dettagliato della situazione. Con le nuove misure in vigore da gennaio 2024 e con i futuri interventi che dovrebbero essere assestati nel corso del nuovo anno.
Riforma delle pensioni, nel 2024 si gettano le basi, ma quali nuove misure in cantiere?
Nel 2024 alcune novità del governo condizioneranno le uscite dal mondo del lavoro di molti lavoratori. Infatti alcune misure, a dire il vero già in vigore nel 2023, vengono confermate anche per l’anno venturo. Solo che vengono inaspriti alcuni requisiti da centrare. E vengono rese meno favorevoli le regole di calcolo delle pensioni.
Per esempio, la quota 103 con 62 anni di età e 41 anni di contributi versati diventa una misura contributiva. Significa che il calcolo della prestazione diventa più penalizzante dal momento che verrà utilizzato il sistema contributivo. Un sistema basato esclusivamente su montante dei contributi versati e non sulle ultime retribuzioni.
Inoltre, le finestre per la decorrenza del trattamento si inaspriscono e passano da tre e sei mesi rispettivamente per il settore privato, e per il settore pubblico a sei e nove mesi. E cambia pure l’importo massimo della pensione che passa da cinque volte il trattamento minimo a sole quattro volte.
Ape sociale 2024, cosa cambia e perché le pensioni diventano più difficili
Per l’ape sociale l’età minima da centrale per sfruttare la misura sale di 5 mesi (da 63 anni a 63 anni e 5 mesi). La misura resta ad appannaggio di:
- Invalidi civili almeno al 74%;
- Disoccupati che hanno terminato di percepire interamente l’indennità di disoccupazione Naspi;
- Soggetti che assistono un parente stretto convivente e disabile grave da almeno 6 mesi (CD caregivers);
- Addetti ai lavori gravosi da almeno sette degli ultimi dieci anni di lavoro o da almeno sei degli ultimi sette anni.
Oltre al peggioramento dell’età di uscita, i contributi potrebbero essere portati a 36 anni per tutte e quattro le categorie, anche se su questo bisogna ancora verificare quanto ci sarà nel testo finale della legge di Bilancio. Potrebbe venire meno il vantaggio per invalidi, caregiver e disoccupati che oggi escono con 30 anni di contributi. Viene meno inoltre l’estensione delle categorie di lavoro gravoso valide per il biennio 2022-2023.
Adesso saranno soltanto 15 le categorie di attività lavorative considerate come gravose che daranno diritto alla misura. Si tratta delle stesse categorie previste per la quota 41 per i precoci. Per il resto la misura rimane intatta con l’importo massimo fruibile pari a 1.500 euro al mese, senza tredicesima, senza maggiorazioni, assegni familiari e integrazioni al tasso di inflazione.
La misura resta non reversibile ai superstiti. E per chi esce nel 2024, ovvero per chi matura i requisiti nel 2024, non si potranno cumulare con la pensione, altri redditi da lavoro. Unica eccezione, il lavoro autonomo occasionale fino a 5.000 euro per anno.
Altre novità 2024, da opzione donna ai contributivi
Anche opzione donna viene confermata per il 2024 ma si perde un anno come come età di uscita. Infatti la misura resta ancorata alle limitazioni del 2023 e quindi risulta appannaggio esclusivamente di:
- Invalide civili almeno 74%;
- Caregiver che assistono un familiare stretto disabile grave con cui convivono da almeno sei mesi;
- Licenziate;
- Lavoratrici di aziende di interesse nazionale con tavoli di crisi aperti al Ministero del made in Italy.
L’età di uscita è fissata a partire dai 61 anni di età con 35 anni di contributi versati da completare entro il 31 dicembre 2023.
Altra novità che i lavoratori troveranno nel 2024 riguarda coloro che non hanno iniziato a versare contributi a qualsiasi titolo in epoca retributiva. Si tratta dei soggetti che hanno il primo accredito contributivo nel loro montante a partire dal primo gennaio 1996. Per questi soggetti due sono le grandi novità una favorevole e l’altra sfavorevole.
Pensioni contributive, di vecchiaia o anticipate, ecco cosa cambia
Per loro la pensione di vecchiaia diventa più semplice perché sparisce il vincolo della pensione minima pari o superiore a 1,5 volte l’assegno sociale. In termini pratici la pensione di vecchiaia adesso diventa libera anche per i contributivi puri a prescindere dall’importo ed a partire dai 67 anni di età con almeno 20 anni di contributi versati.
Invece per la pensione anticipata contributiva il vincolo dell’importo della pensione non viene tolto, anzi viene inasprito. Si passa infatti da una pensione minima pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale, ad una pensione pari ad almeno 3 volte lo stesso assegno sociale. Bisogna raggiungere una pensione più alta per arrivare a poter uscire dal lavoro a partire dai 64 anni di età con 20 di contributi versati.
Solo per le donne che hanno avuto un solo figlio nella loro vita, il limite della pensione resta pari a 2,8 volte l’assegno sociale.
Riforma delle pensioni nel 2024, ma come sarà?
Quelle sopra citate sono le novità introdotte dal governo nel pacchetto previdenziale della legge di Bilancio di quest’anno. Evidente che non ci sia stata nessuna grande riforma delle pensioni come molti avrebbero desiderato. Tutte le ipotesi di riforma delle pensioni che sono state fatte in passato quindi vengono spostate al 2024. Quando sicuramente se ne riparlerà dal momento che l’intenzione del governo è quella di varare la riforma delle pensioni entro la fine della legislatura.
Questo significa che le speranze che sia varata finalmente la quota 41 per tutti non sono tramontate del tutto. Quindi si tornerà a parlare di una pensione a partire dai 41 anni di contributi versati a prescindere dall’età, estesa alla generalità dei lavoratori. Una vera e propria alternativa alla pensione anticipata ordinaria che sembra quasi un ritorno al passato, cioè alle vecchie pensioni di anzianità.
Da ricordare, infatti, che le pensioni anticipate ordinarie che nel 2024 si prenderanno con 42 anni 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, sono nate con la riforma Fornero e proprio in sostituzione delle pensioni di anzianità.
Arriva la quota 96, ecco il ritorno alle uscite a 60 anni
Un’altra cosa che la legge Fornero con le pensioni anticipate ha cancellato è stata la quota 96. Proprio questa misura potrebbe tornare ad essere una di quelle su cui basare la riforma delle pensioni e su cui lavorare nel 2024. Si tornerebbe a poter concedere il pensionamento anticipato a quanti raggiungono 60 anni di età e 35 anni di contributi versati completando però la fatidica quota.
La misura era già nel piatto sul finire del 2023 quando si parlava di misure da inserite nella legge di Bilancio. Poi non se ne è fatto più nulla ma questo non vuol dire che non ci siano speranze che prima o poi la misura torni in auge. Anche perché è una misura che ha lasciato molti nostalgici.
Sempre con la riforma delle pensioni si potrebbe anche puntare a una misura flessibile a partire dai 62 anni di età con 20 anni di contributi versati. Infatti questa è una delle linee care ai sindacati che vorrebbero una misura di questo genere con pensionamento a libera scelta del lavoratore.
Anche in questo caso se ne riparlerà a 2024 in corso, perché l’intenzione del governo sembra proprio questa di varare una misura che permette i pensionamenti anticipati ma a spese dei pensionati.
Infatti qualsiasi misura il governo finirà con il varare nel 2024 o negli anni successivi non dovrebbe prescindere da quel ricalcolo contributivo della prestazione che per gli interessati significa una grande penalità sull’assegno pensionistico.