Riforma delle pensioni sul modello cileno, la scommessa di Bolsonaro per cambiare il Brasile

Il Brasile di Bolsonaro punta le sue carte sulla riforma delle pensioni e guarda al modello cileno, inaugurato da Augusto Pinochet. Risparmi attesi per 350 miliardi di dollari in 10 anni.
6 anni fa
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Nei giorni scorsi, Jair Bolsonaro ha riportato altre due significative vittorie da neo-presidente, quando sia alla presidenza della Camera e del Senato sono stati eletti due esponenti “democratas”, ovvero provenienti da un partito alleato e dalle inclinazioni “business-friendly”. L’agenda riformatrice del nuovo capo dello stato risulta così più credibile, perché i due avranno il potere di decidere se e quando far esaminare alle rispettive assemblee una proposta di legge. E subito sono circolate alcune indiscrezioni sulla riforma delle pensioni che il governo di Bolsonaro vorrebbe far approvare, considerata la madre di tutte le riforme, tanto che lo stesso presidente, approfittando del caos a Caracas, un paio di settimane fa ha dichiarato che “senza una riforma delle pensioni, il Brasile rischia di fare la fine del Venezuela”.

Riforma pensioni avanza tra le proteste, il Brasile vuole mettersi la crisi alle spalle

Secondo tali indiscrezioni, l’età pensionabile sarebbe innalzata a 65 anni per uomini e donne. Ad oggi, i brasiliani possono andare in pensione a 65 anni per gli uomini e 60 anni per le donne. Tuttavia, se in possesso di almeno 35 anni di contributi versati, i primi possono uscire dal lavoro prima e a qualsiasi età. Per le donne, ne bastano 30 anni. Gli anni di contribuzione minima per accedere alla pensione di vecchiaia è, poi, fissato in 15 anni. Con la riforma, questi ultimi salirebbero a 20 anni e verrebbe impedito ai lavoratori di uscire prima dal lavoro rispetto all’età ufficiale. I risparmi attesi per le casse dello stato sarebbero stimati in 1.300 miliardi di real, pari a 350 miliardi di dollari. Si tratterebbe di qualcosa come circa 16 punti di pil attuali.

Il Brasile guarda al modello cileno sulle pensioni

Il capo dello staff presidenziale, Onyx Lorenzoni, ambisce a qualcosa di più, vale a dire a introdurre progressivamente un sistema a capitalizzazione, praticamente uno schema privatistico di versamento dei contributi, i quali verrebbero investiti dai fondi privati per assicurare ai futuri pensionati assegni mensili capaci di integrare quelli pubblici.

La prospettiva sarebbe di lungo periodo, ma il governo punta a far decollare subito questa seconda gamba della previdenza, ispirato dal modello cileno, quello che fu introdotto a inizio anni Ottanta sotto Augusto Pinochet e che ha nei fatti privatizzato la previdenza nazionale, con grande soddisfazione dei lavoratori, i quali hanno potuto godere nei decenni di tassi di rendimento per i loro versamenti nettamente superiori a quelli garantiti dalla previdenza pubblica, riscuotendo in pensione assegni molto elevati rispetto all’ultimo stipendio percepito.

Cosa ci insegna il modello cileno?

Il problema per il Brasile riguarda i numeri: lo stato spende il 12% del pil per le pensioni, una percentuale apparentemente non allarmante, considerato che l’Italia vi dedica oltre il 16% del proprio prodotto interno lordo, ma si consideri che la popolazione brasiliana sia nettamente più giovane con un’età media di oltre 14 anni più bassa della nostra. Dunque, le pensioni assorbono una quota eccessiva delle risorse pubbliche, nonostante non dovrebbero. Il modello cinese risulta più difficile da introdursi, almeno non nel breve e medio termine, perché i brasiliani saranno costretti ancora a lungo a versare i contributi per mantenere la platea dei pensionati esistenti, restando loro pochi risparmi da destinare alla propria previdenza integrativa. Né lo stato potrebbe accollarsi il costo enorme delle pensioni, liberando i contributi in favore della gamba privata, trattandosi di quasi un terzo dell’intera spesa pubblica.

I mercati stanno scommettendo proprio sulla riforma delle pensioni quale apripista per rivoluzionare l’economia brasiliana, la prima dell’America Latina, dopo un quindicennio trascorso a redistribuire la ricchezza, più che a pensare di come crearne di nuova. Non a caso, il real ha guadagnato il 12% contro il dollaro dalla metà di settembre, quando i sondaggi hanno iniziato a dare Bolsonaro in vantaggio sui rivali alle presidenziali, nonostante fosse considerato fino a poco prima un outsider.

E ottima è stata la performance dei titoli di stato negli ultimi mesi: i rendimenti a 10 anni sono crollati dal 12,5% all’8,75% e quelli a 2 anni dal 9,4% al 7,10%. Nel frattempo, la Borsa di San Paolo ha messo a segno un rialzo di oltre il 33%, salendo ai nuovi record storici.

Il circolo virtuoso che attira i mercati

Altro aspetto positivo, l’inflazione. Dopo le proteste della primavera scorsa dei camionisti contro i rincari del carburante, che hanno paralizzato l’attività economica del paese e provocato rialzi dei prezzi per le merci trasportate, a dicembre è scesa per la prima volta dopo sei mesi sotto il 4% tendenziale, attestandosi al 3,75%. Ciò consentirebbe alla banca centrale di tenere almeno fermi i tassi, con il Selic già al minimo storico del 6,50%. Si consideri che fino al tardo 2016 era stato alzato al 14,25% per combattere proprio l’alta inflazione e il crollo del cambio. Bassi tassi appaiono cruciali per tenere a bada il deficit, visto che il debito pubblico si alimenta essenzialmente proprio per gli elevati interessi da corrispondere sul debito pubblico sopra l’80% del pil, al netto dei quali il disavanzo primario si aggira nell’ordine dell’1-1,5% del pil.

La riforma delle pensioni si configura come test cruciale per il Brasile. Se sarà approvata senza essere annacquata dal Congresso, i mercati riprenderanno fiducia e reagirebbero portando i capitali nel paese, a tutto beneficio del real, il quale rafforzandosi ridurrebbe ulteriormente l’inflazione, ampliando i margini di manovra della banca centrale per evitare il rialzo dei tassi e forse anche per concederle la scommessa di un nuovo taglio. I bond si apprezzerebbero e il calo dei rendimenti accelererebbe il calo del deficit, irrobustendo la manovra di Bolsonaro per mettere in sicurezza i conti pubblici. Era accaduto qualcosa di simile nel 2016, ma allora la debolezza politica della presidenza Temer, succeduta a quella di Dilma Rousseff dopo l’impeachment, aveva creato sui mercati un sollievo solo temporaneo, seguito dalla delusione.

Stavolta, sembrano esservi le premesse per qualcosa di concreto, anche perché per primo Bolsonaro capisce che deve approfittare della luna di miele con i suoi elettori per portare a casa risultati concreti sull’economia, altrimenti rischia di trasformarsi presto in una nuova occasione perduta.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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