La riforma pensioni molto probabilmente non si farà quest’anno. Tutto rinviato al 2025, inflazione permettendo. Benché non ci sia nulla di ufficiale, la posizione del governo sul tema appare quantomeno delineata e, allo stesso tempo, preoccupa. Anche perchè più il tempo passa e più difficile diventa mettere mano all’assetto previdenziale.
Il costo della previdenza, secondo i dati dell’Osservatorio Inps, è già molto elevato con tendenza a raggiungere il 17% del Pil nei prossimi anni. Solo per le pensioni che dovranno essere rivalutate pesantemente anche il prossimo anno, lo Stato dovrà mettere in campo una nuova manovra finanziaria.
La preoccupazione per il dopo Quota 103
Sul tavolo delle trattative coi sindacati balla in particolare la fine di Quota 103 a fine anno. La misura che consente l’uscita anticipata a 62 anni di età con 41 di contributi potrebbe essere rinnovata per un altro anno, ma le probabilità che ciò avvenga sono ridotte al lumicino. La stessa cosa si pensava di Quota 102 lo scorso anno, ma nulla fu fatto.
E’ quindi probabile che Quota 103, che peraltro consente l’uscita anticipata a non più di 44 mila lavoratori quest’anno, termini la sua corsa il 31 dicembre 2023 per lasciare il posto al ritorno integrale delle regole Fornero. Quindi alla pensione con le vie ordinarie, a 67 anni di età o con 41-42 anni e 10 mesi di contributi a prescindere dall’età. Ad eccezione delle deroghe previste da Ape Sociale che probabilmente saranno rinnovate e Opzione Donna, già fortemente ridimensionata.
La proposta di riforma pensioni Inps per l’uscita in due tranches
Sullo sfondo, l’unica possibilità che consentirebbe ancora l’uscita anticipata dal lavoro sarebbe quella proposta dall’Inps. Un progetto già pensato da tempo e che converge con i desiderata dell’esecutivo sul contenimento della spesa per le pensioni.
Si tratterebbe, in buona sostanza, di una pensione flessibile con acconto. Vale a dire, una prima parte di rendita sarebbe liquidata subito, al raggiungimento dei 63-64 anni, ma a valere solo sui versamenti effettuati nel sistema contributivo (quelli maturati dal 1996 in poi). La seconda parte di pensione, invece, sarebbe pagata a saldo al raggiungimento dei 67 anni, a valere sulla restante parte dei versamenti effettuati prima del 1996 cioè nel sistema di calcolo retributivo.
La soluzione avrebbe il merito di mantenere in equilibrio i conti dell’Inps con una spesa contenuta e non si andrebbe a penalizzare il lavoratore la cui decisione di andare in pensione a partire da 63-64 anni resterebbe comunque su base volontaria. In altre parole il sistema di calcolo della pensione mista verrebbe sdoppiato e liquidato separatamente.
I vantaggi economici
I vantaggi della proposta Inps sono sostanzialmente due: il primo di natura economica perché lo Stato risparmierebbe più del 70% rispetto a quanto si è visto con le Quote. Il secondo vantaggio sarebbe di natura sociale. La proposta dell’Inps si baserebbe su un requisito contributivo minimo di almeno 20 anni, il che permetterebbe a una vasta platea di lavoratori di lasciare il lavoro liberando spazio ai giovani. Soprattutto nella pubblica amministrazione.
Quota 103, infatti, richiede almeno 41 anni di contributi e – secondo le previsioni – nel 2023 lasceranno il lavoro poco meno di 40 mila lavoratori. Una strozzatura che non porta vantaggi concreti all’occupazione in Italia.
Ovviamente la proposta Inps per una pensione parzialmente anticipata a 63-64 anni nel sistema contributivo, implicherebbe una leggera penalizzazione. L’importo sarebbe parametrato all’età del lavoratore che godrebbe di una rendita parziale ridotta rispetto a quella prevista a 67 anni con la liquidazione della pensione intera.