Per dare ai giovani (la pensione) è necessario togliere qualcosa ai vecchi. Non ci sono alternative, a parte quella di continuare a fare debito e aumentare le tasse. Strada ormai preclusa da tempo, sia per via dei costi lievitati a causa dell’inflazione, sia perché la pressione fiscale ha raggiunto livelli insostenibili.
E così stanno arrivando i tagli. Da Quota 102 a Quota 103 a Opzione Donna con maggiori restrizioni passando per le svalutazioni delle pensioni medio alte. Tutto fa brodo in un contesto che vede l’Italia non più in grado di sostenere il peso del welfare.
Pensioni, il sistema non sta in piedi
Come fa notare Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali, siamo diventati un Paese di assistiti. Il costo dell’assistenza è raddoppiato dal 2008 passando da 73 a 141 miliardi di euro. Ma anche la spesa per le pensioni è salita a quota 235 miliardi di euro raggiungendo livelli record a causa dell’incremento del numero dei pensionati.
Del resto la popolazione invecchia e va più assistita che mantenuta per evitare lo sprofondamento verso soglie di povertà. Peraltro aumentate per colpa della pandemia e non contenute a dovere, nonostante il reddito di cittadinanza e i bonus a pioggia erogati negli ultimi anni. Interventi fallimentari sotto ogni punto di vista. Come dice Natale Forlani, ex presidente di Italia Lavoro,
“è un’indicazione chiara che il problema non è la separazione tra previdenza e assistenza ma che, se le pensioni non vengono assistite dallo Stato, e cioè dai contribuenti, il sistema non sta in piedi”.
C’è poi da dire che il rapporto fra lavoratori e pensionati si sta deteriorando a causa del decremento demografico. Oggi abbiamo un lavoratore ogni 0,65 pensionati, ma il trend è in peggioramento ed entro il 2050 sarà di 1:1. Rapporto già così adesso se si considera che ogni pensionato in media riceve dallo Stato 1,4 trattamenti previdenziali, cioè prende più di una pensione.
Servono interventi radicali
Ma non è solo questo – dice Forlani -: Tra il 2010 e il 2020, lo Stato ha erogato 200 miliardi di sgravi contributivi per incentivare le assunzioni. Interventi di questo tipo diminuiscono il contributo della forza lavoro anche in termini di volume, non solo di occupati. In altre parole, vengono a mancare soldi per pagare le pensioni.
E non è separando l’assistenza dalla previdenza, come sostiene Brambilla, che si risolvono i problemi. Perché, in ogni caso, la spesa resterebbe la stessa anche con due contabilità distinte. Il punto è che bisogna porre un freno agli errori del passato e non farne altri. Soprattutto in vista dell’ondata di pensionamenti dei baby boomers degli anni ’60.
Stiamo pagando pensioni retributive senza la dovuta copertura contributiva a causa delle scellerate politiche degli anni 70 e 80. Ancor oggi lo Stato paga centinaia di migliaia di pensioni da oltre 40 anni. Sono tutti interventi assistenziali. Assurdo! E continuare di questo passo non porterà che alla rovina del Paese che pagheranno le generazioni future condannate a lavorare fino a 70 anni.
Quello che serve – come da sempre chiedono dall’Europa – è tagliare le pensioni anticipate e riservarle solo a chi ne ha realmente necessità. Il ricalcolo contributivo per Quota 41, ad esempio, sarebbe la soluzione giusta per la prossima riforma pensioni. Sempre che si voglia salvare il salvabile.