La riforma delle pensioni è al centro dell’attenzione del governo in queste ore. Non è l’unico pensiero dell’esecutivo, naturalmente, ma è indubbio che, fin dalla campagna elettorale che ha portato il centrodestra alla vittoria, le promesse in tema pensionistico sono state numerose. Il superamento della riforma Fornero, la quota 41 per tutti e l’innalzamento delle pensioni minime a 1.000 euro sono stati temi dominanti durante quella tornata elettorale.
Adesso, però, è il momento di tradurre queste promesse in azioni concrete. Ma come? L’esecutivo sembra orientarsi verso una direzione che differisce radicalmente da ciò che molti lavoratori e lettori si aspettavano.
Riforma pensioni: le 4 misure allo studio contro le 4 misure desiderate dai lavoratori
Vediamo ora quali sono le ipotesi sul tavolo dell’esecutivo. Innanzitutto, si cerca di introdurre la quota 41 per tutti, ma con modifiche rispetto alla misura originariamente promessa. Il calcolo contributivo, ad esempio, potrebbe diventare obbligatorio non solo per la quota 41, ma per qualsiasi altra misura pensionistica da varare. Questo per garantire la sostenibilità delle misure.
È noto che un sistema basato sul calcolo contributivo è meno oneroso per lo Stato rispetto a uno basato su un calcolo misto, soprattutto nel lungo termine. Tuttavia, oltre a essere contributiva, la quota 41 potrebbe prevedere un ulteriore vincolo: il requisito del lavoro precoce, simile a quello attuale. In altre parole, sarebbe necessario aver versato almeno un anno di contributi prima dei 19 anni.
Aumento dei vincoli per le pensioni anticipate ordinarie: come?
Oltre alla quota 41, si sta valutando anche un inasprimento delle condizioni per accedere alle pensioni anticipate ordinarie, senza però modificare i requisiti che, nel 2025, rimarranno 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Ma cosa cambierebbe allora? Verrebbero allungate le finestre di uscita, attualmente pari a 3 mesi, portandole a 7 mesi.
Ciò significa che un lavoratore, per ricevere il primo assegno pensionistico, dovrebbe attendere 7 mesi dalla maturazione dei requisiti, anziché 3.
Pensioni integrative, TFR e proposta di flessibilità da 64 a 72 anni
Tra le altre proposte in discussione vi sono il potenziamento delle pensioni integrative e una nuova flessibilità in uscita che includerebbe anche le pensioni di vecchiaia. Per quanto riguarda le pensioni integrative, si ipotizza di rendere obbligatorio destinare il 25% del TFR ai fondi pensione privati. In sostanza, sarebbe consentita la pensione anticipata, ma solo attraverso fondi complementari e utilizzando il proprio Trattamento di Fine Rapporto.
Per i nuovi assunti, sarebbe un obbligo, mentre per i vecchi resterebbe facoltativo, con silenzio assenso in caso di mancata comunicazione di diniego. Sul fronte della flessibilità, si parla di un progetto che prevede l’uscita pensionistica a partire dai 64 anni fino ai 72, con una penalizzazione fino al 3,5% per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 anni. Il requisito sarebbe quello di maturare una pensione almeno pari a 1,5 volte l’assegno sociale, con almeno 25 anni di contributi, ritoccando per la prima volta il limite di 20 anni per le pensioni di vecchiaia.
Cosa vorrebbero invece i lavoratori
Una critica ricorrente al sistema pensionistico attuale, basato sulla legge Fornero, riguarda i requisiti di accesso. Sono considerati troppo stringenti i 43 anni di contributi per andare in pensione anticipata, indipendentemente dall’età. Molti lavoratori auspicano una quota 41 per tutti, senza tagli, penalizzazioni o ricalcoli contributivi, simile alle pensioni di anzianità del passato. In aggiunta, la flessibilità dovrebbe partire dai 62 anni, con almeno 20 anni di contributi.
Poiché il sistema è ormai orientato verso il contributivo, chi sceglie di andare in pensione prima dei 67 anni è già penalizzato dai coefficienti di trasformazione, che riducono l’importo dell’assegno pensionistico.
Se deve esserci una quota, perché non una nuova quota 96 o una nuova quota 100 nella riforma delle pensioni?
Un’altra misura che molti lettori richiamano quando suggeriscono una riforma delle pensioni è una nuova quota 96. Questo sistema, considerato valido da molti, permetteva di andare in pensione con 35 anni di contributi e 60 anni di età. Fino all’introduzione della legge Fornero. Molti ritengono che reintrodurre una simile misura sarebbe una buona soluzione.
E se non fosse possibile tornare indietro così tanto, il ripristino della quota 100 sarebbe un’alternativa apprezzata. La quota 100, infatti, è stata la misura più utilizzata rispetto alle successive quota 102 e quota 103, permettendo l’uscita dal mondo del lavoro a 62 anni con 38 anni di contributi. Alcuni lavoratori suggeriscono di ampliare le combinazioni, includendo anche varianti come 61+39, 60+40 o 63+37, per offrire maggiore flessibilità.
È giusto andare in pensione con 35 anni di contributi anche perché ci sarebbe un nuovo ricambio di maestranze.
Se un governo dichiara che a 60 anni si è inoccupabile, non capisco xchè a questi lavoratori che hanno perso il lavoro e non trovano occupazione con almeno 20 anni di contributi non gli venga riconosciuta la pensione anticipata. Allora togliere il limite di età sia x l’occupazione fino a 36 anni , che x l’apertura di attività con finanziamenti a fondo perduto che è fino a 55 anni.
Vorrei sapere in quale paese al mondo si discute di pensioni ogni anno?riuscirà qualcuno a fare una cosa che duri almeno per 10 anni? É mai possibile che due colleghi pari lavoro pari anzianità quello che va in pensione un anno o due dopo debba essere penalizzato? Cosa cambia in un anno? Negli ultimi 4 anni ci sono stati mln di pensionati morti cio non ha inciso sui conti?i conti vanno divisi tra publico e privato,tra assistenza e previdenza solo cosi ci si puo focalizzare sul problema ed agire incisivamente; per entrare in una RSA l’ età minima é 65 anni credo per cui; é importante età anagrafica dopo i 60 anni incominciano ad arrivare calo della vista,prostata,schiena,calo concentrazione,memoria etc etc; forse solo i pubblici/statali per la ripetitività del lavoro potrebbero andare oltre i 65