Con il colpo di grazia dato dal M5S al governo Draghi salta anche la riforma pensioni. Per Draghi si trattava comunque di una patata bollente da maneggiare. Ma così, da premier dimissionario, è tutto più facile da far passare.
Lo scopo (mai celato), quello del ritorno a pieno titolo per tutti alle regole Fornero dal 2023, è stato raggiunto. Senza fare nulla, in automatico, perché la strada era già spianata da quando è terminata Quota 100. Nessuno potrà dire di averlo auspicato, ma nemmeno di averlo impedito.
Riforma pensioni addio
Così con il governo Draghi dimissionario e la legislatura al capolinea, la riforma pensioni è rinviata a tempi migliori. Non c’è più tempo per farla se si va a elezioni anticipate. Dal prossimo anno, quindi, si andrà tutti in pensione coi requisiti ordinari a 67 anni di età o, in alternativa, con 41-42 anni e 10 medi di contributi.
Quota 102 scadrà a fine dicembre e forse anche Opzione Donna non sarà prorogata. Mentre quasi sicuramente Ape Sociale proseguirà anche l’anno prossimo, insieme a Quota 41 per i lavoratori precoci.
Dal punto di vista politico si darà la colpa ai 5 Stelle per aver innescato le polveri di una crisi già latente da mesi. Ma in fondo la colpa è di tutti i partiti che invocano da sempre una strana riforma nell’interesse degli italiani, dei lavoratori, ecc. Per poi non fare nulla.
Del resto sulle pensioni, come insegna la storia, si gioca una partita troppo importante e iniziarla alla vigilia della tornata elettorale 2023 sarebbe risultato troppo scomodo. Nessuno deve arrogarsi il merito di farla. Così non la si fa.
Dal 2023 tutti fuori a 67 anni
Ma in mezzo ci sono migliaia di lavoratori che, grazie a questa ennesima sceneggiata politica parlamentare possono giusto pensare di mandare al diavolo deputati e senatori.
Esattamente il 25 settembre 2022, giusto il tempo per spalancare le porte a una crisi di governo ancora tutta da capire e maturarsi il diritto alla pensione. Se si andrà a elezioni anticipate, per loro la rendita è assicurata. Poi, se ai lavoratori toccherà lavorare fino a 67 anni, magari dopo essere rimasti fregati dallo stop di Quota 100, poco importa.
Si tornerà a votare in autunno o in primavera. Volti nuovi, promesse diverse. E’ il teatrino della politica italiana che non è mai cambiato nemmeno dopo la fine della Prima Repubblica. Cambieranno i suonatori, ma la musica sarà sempre la stessa. E poi ci si meraviglia che in Italia vota una persona su tre.