Sulle pensioni non aspettiamoci grandi modifiche da qui a fine anno. Giorgia Meloni (FdI) ha vinto le elezioni, ma il centro destra non stravolgerà l’assetto pensionistico italiano. Non lo farebbe nemmeno il centro sinistra se avesse vinto.
Questo perché il problema non è la Fornero o il ritorno integrale alle regole imposte a partire dal 2012 con l’innalzamento brusco dell’età pensionabile. Ma il debito pubblico enorme che l’Italia ha accumulato con le pensioni negli anni passati.
Il costo delle pensioni e la riforma Fornero
Ricordiamo che il governo Monti del 2011, imposto da Bruxelles e dai grandi investitori internazionali, ha fatto solo quello che non poteva più essere rimandato nel tempo.
Da allora si sono susseguite una serie di riforme in deroga alle regole imposte dall’allora ministro al Welfare Elsa Fornero. Il che ha permesso ai lavoratori italiani di andare in pensione mediamente a meno di 63 anni. Al di sotto dell’età media pensionabile Ocse.
Da quota 100 a Opzione Donna sono state fatte delle controriforme a quello che è l’impianto originario di uscita dal lavoro a 67 anni o con 41-42 anni e 10 mesi di contributi. L’unico sostenibile nel tempo, secondo la Fornero.
Sicché, pensioni anticipate non possono più essere riproposte di fronte a una spesa previdenziale in continuo aumento (312 miliardi di euro nel 2021, secondo i dati Inps). Ma soprattutto di fronte al continuo calo demografico e all’invecchiamento della popolazione.
Il problema demografico
Il quadro che emerge dall’ultimo censimento dell’Istat è drammatico. Circa 390 mila nascite nel 2021. Solo a gennaio si è registrato un calo di 5 mila bambini rispetto allo stesso mese del 2020, con una perdita del 13,6%. Come possiamo sostenere i costi delle pensioni?
In questo contesto, secondo gli esperti, nemmeno le regole Fornero saranno in grado di tenere in equilibrio la spesa per le pensioni in futuro.
L’incremento della denatalità in Italia, infatti, rende il sistema debole e instabile. Tutti i Paesi europei sono di fatto in crisi, ma in Italia si sente di più. Come fa notare Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat:
“a tassi di natalità che vanno poco oltre il 5 per mille si contrappongono tassi di mortalità ben al di sopra del 10 per mille”.
La riforma pensioni secondo Meloni
In questo contesto evitare il ritorno alla Fornero fra pochi mesi è quasi impossibile. A meno che si adotti un corposo scostamento di bilancio. Prioritario è assicurare la rivalutazione degli assegni a 16 milioni di pensionati dal 2023.
D’altra parte, per fare una riforma sensata e strutturale in Italia servirebbe una rivoluzione del sistema pensionistico radicale che però metterebbe a soqquadro le finanze pubbliche. Il presidente Mario Draghi ha, d’altro canto, impostato da tempo una strada proprio per agevolare il ritorno alla Fornero. A difesa dei conti pubblici.
Ricordiamo che La ex ministra del Welfare è stata anche consulente economico nel governo Draghi. E la Meloni, nel lontano 2011, aveva approvato con Forza Italia la riforma che da lì avrebbe fatto esplodere un drammatico subbuglio nazionale.
Impensabile quindi che adesso FdI possa mettersi contro la Fornero o quantomeno impedirne il ritorno integrale per tutti. Costerebbe troppo e soprattutto metterebbe in preallarme i conti dello Stato, già travagliati da altre emergenze economiche.
Quindi, al massimo ci sarà qualche ritocco al sistema attuale. Con la proroga di Opzione Donna che potrebbe diventare strutturale e di Ape Sociale. Ma niente Quota 41, soprattutto dopo la batosta elettorale presa dalla Lega promotrice della riforma.
Ancora Quota 102 o forse Quota 103
In aggiunta, il Parlamento potrebbe prorogare Quota 102 (in pensione a 64 anni con 38 di contributi) anche per il 2023 lasciando le cose come stanno. Benché questo sistema di pensioni anticipate abbia finora accolto poche migliaia di domande, nessuno potrà più parlare di “ritorno alla Fornero”.
Al più potrebbe arrivare Quota 103, al posto di Quota 102. Una pensione anticipata con più anni di contributi e di anzianità. In maniera flessibile. Si potrebbe andare in pensione a 65 anni di età con 38 di contributi o a 64 anni di età ma con 39 di contributi.