La riforma pensioni 2023 sembra ancora in alto mare. Ruota essenzialmente intorno a due nodi da sciogliere: come evitare il ritorno alla Fornero e il futuro dei giovani lavoratori.
Per questi ultimi, si sa, le previsioni non sono per niente incoraggianti e c’è il rischio che debbano lavorare fino a oltre 70 anni prima di vedere la pensione. Prendendo magari anche un assegno da fame se non avranno versato contributi sufficienti.
Nuova integrazione al minimo per i giovani?
Per i giovani, quindi, si stanno valutando due ipotesi: ripristinare una sorta di integrazione al trattamento minimo per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995 o introdurre un bonus contributivo.
Per quanto riguarda la prima ipotesi, si tratterebbe di intervenire a favore di chi è destinato ad avere pensioni basse a causa di lavori precari o di disoccupazione involontaria. Quindi ripristinare una sorta di minimo vitale a spese dello Stato e sotto forma di assistenza.
Oggi le pensioni integrate al minimo valgono 524 euro al mese e sono erogate in base alle condizioni di reddito del beneficiario e della sua famiglia. A tal fine, si sta studiando di trasformare la pensione di cittadinanza a questa nuova forma di tutela previdenziale. Ma gli incagli da superare sono parecchi.
Bonus contributivo nella riforma pensioni
La seconda via sarebbe l’introduzione di un bonus contributivo, che potrebbe di garantire per ogni anno di lavoro 1,5 anni di versamenti contributivi. Anche in questo caso sarebbe lo Stato a metterci i soldi, ma in maniera diversa.
Nel dettaglio, si tratterebbe di introdurre nel nostro ordinamento pensionistico un sistema di bonus contributivi in grado di compensare e riempire i periodi scoperti o di inattività. Cioè fare in modo che i contributi versati in determinati periodi dell’anno e in particolari circostanze possano essere maggiorati fino a 1,5 volte. Fare, insomma, come per le maggiorazioni convenzionali riservate al personale militare e delle forze armate.
Ovviamente per fare questo bisognerebbe istituire un fondo ad hoc che inizialmente potrebbe essere alimentato dalla contribuzione previdenziale generale. Così come avviene nelle forze armate. Detti soldi dovranno servire, però, non già ad andare in pensione prima (come per i militari), ma a tappare i buchi contributivi.