La riforma pensioni sta muovendo i primi passi e qualcosa si intravvede all’orizzonte. Il recente incontro fra governo e sindacati ha delineato meglio la linea di intervento che non dovrebbe stravolgere l’assetto previdenziale attuale.
Le misure sulle quali si intende intervenire sono quelle di maggior tutela per le donne e per i giovani che non avranno, al pari dei predecessori, garanzie sulla pensione futura. In particolare il trattamento minimo che la legge riserva oggi solo a coloro che hanno iniziato a lavorare prima del 1996.
Bonus figli per le lavoratrici madri
La notizia che catalizza l’attenzione di questi giorni è il bonus figli per le lavoratrici madri. L’intenzione del governo è quella di estendere i 4 mesi di anticipo per ogni figlio (già previsti dalla riforma Dini solo per chi è nel contributivo pieno) a tutte le forme pensionistiche riservate alle donne. Il limite massimo sarebbe di 12 mesi.
Un messaggio chiaro che la dice tutta su come saranno strutturate le pensioni nei prossimi anni. E soprattutto sul fatto che Opzione Donna non dovrebbe subire più modifiche, nonostante le lavoratrici abbiano protestato contro le recenti restrizioni introdotte.
A conti fatti, comunque, 4 mesi di anticipo equivarrebbero a 700 milioni di spesa in più. Non tanto se si pensa ai risparmi di spesa che arriveranno quest’anno dalle restrizioni adottate per Opzione Donna. Sono, comunque, in corso valutazioni tra tecnici del Lavoro e Mef.
Tuttavia, secondo gli esperti di previdenza questa operazione porterà a un ulteriore restringimento di Opzione Donna, ammesso che proseguirà anche l’anno prossimo. Già oggi è possibile anticipare l’uscita per ogni figlio. La legge prevede uno sconto di un anno per ogni figlio con il limite massimo di 2 anni. Quindi si può andare in pensione al più presto a 58 anni con due o più figli.
La nuova formula allo studio del governo – come detto – prevede uno sconto di 4 mesi per ogni figlio, il che si traduce in una penalizzazione ulteriore.
Riscatto della laurea e pensione di garanzia
Le altre misure all’attenzione dell’esecutivo sono la rimozione del vincolo di 1,5 volte l’assegno sociale per la pensione di vecchiaia contributiva, l’integrazione al minimo per i giovani e il potenziamento del riscatto della laurea agevolato.
Il primo punto riguarda le pensioni di vecchiaia a 67 anni che per i contributivi puri sono condizionate dal raggiungimento di una soglia minima di rendita pari a 1,5 volte l’assegno sociale. Livello che potrebbe non essere raggiunto da molti lavoratori in futuro e potrebbe essere abolito con la riforma.
Il secondo aspetto riguarda invece l’introduzione anche per i contributivi puri dell’integrazione al trattamento minimo. Una sorta di pensione di garanzia che potrebbe arrivare a 600 euro al mese in assenza di contributi sufficienti a raggiungere tale livello.
Infine, il riscatto della laurea che potrebbe essere esteso anche a coloro che non hanno terminato gli studi ma hanno comunque frequentato l’Università. Sempre nei limiti del periodo utile a conseguire il titolo accademico.